Dallo Statuto della Monarchia sabauda (1848) alla Costituzione della Repubblica italiana (1948).

Un ricco e documentato studio del dott. Alfonso Gentili, ex segretario generale della Provincia di Perugia

 

Nell’anno 2018 ricorre il 70° anniversario dell’entrata in vigore della Costituzione della Repubblica Italiana ed anche il 170° anniversario dello Statuto della Monarchia del Regno di Sardegna e poi Regno d’Italia (1861-1946). Lo Stato italiano proviene infatti dal Regno di Sardegna che comprendeva,  oltre l’isola, anche la Liguria, il Piemonte, la Valle d’Aosta, una piccola parte della Lombardia, la Savoia e il Nizzardo con capitale a Torino e si  era dotato  di un moderno “Statuto Legge Fondamentale, perpetua e irrevocabile della Monarchia” di  84 articolidato” da Carlo Alberto di Savoia (Re di Sardegna dal 1831 al 1849) il 4 marzo 1848, anno di grandi rivoluzioni in Europa. Si trattava di un tipo di carta costituzionale c.d. ottriata (octroyé), cioè concessa ai sudditi in modo spontaneo da un  sovrano che in precedenza governava una monarchia assoluta (dove il monarca deteneva tutti i poteri, legislativo, esecutivo e giudiziario, a lui derivanti da una fonte originaria, svincolata dalla volontà del popolo come invece nella Repubblica) trasformandola così in monarchia costituzionale (con l’introduzione del principio della separazione dei poteri tra il Re e il Parlamento e di alcuni diritti dei cittadini).  Lo Statuto Albertino è rimasto in vigore per circa cento anni regolando il Regno d’Italia, proclamato con legge del  17 marzo 1861 (“Il Re Vittorio Emanuele II assume per sé e suoi successori il titolo di Re d’Italia”), che  si era intanto formato con le annessioni, accompagnate da plebisciti, della Lombardia, Toscana, Emilia, Marche, Umbria  e del Regno delle Due Sicilie e che è stato  poi completato  con il Trentino, l’Alto Adige e il Friuli-Venezia Giulia  dopo la fine della Grande guerra con il trattato di Saint-Germain del settembre 1919.

Lo Statuto Albertino ha introdotto nella Monarchia  istituzioni nuove rispetto a  quelle dello Stato assoluto ormai in crisi e parzialmente rappresentative come in tutti gli Stati liberali (basati  sull’ideologia liberista e individualista, sull’idea di Stato minimo  e sulla libera iniziativa privata) che sono nati tra fine ‘700 e prima metà ‘800, a seguito dell’affermazione della borghesia e dell’economia di mercato collegata  al nuovo modo di produzione capitalistico. Istituiva infatti una Camera elettiva composta da Deputati scelti dai Collegi elettorali con diritto di voto limitato a pochi cittadini  maschi sulla base del censo e della cultura, poi esteso progressivamente al suffragio quasi universale maschile e con 21 anni compiuti. I Deputati rappresentavano per 5 anni la Nazione in generale, senza mandato imperativo. Prevedeva inoltre un Senato composto da membri nominati a vita dal Re e scelti tra determinate categorie, nonché un Governo Monarchico Rappresentativo composto da Ministri nominati dal Re e di sua fiducia. Il potere legislativo era esercitato dal Re e dalle due Camere, Il potere esecutivo apparteneva al Re solo, che era il Capo Supremo dello Stato e nominava tutte le cariche dello stesso. In esso erano contenuti anche nove importanti articoli relativi ai diritti e i doveri dei cittadini. Lo Statuto Albertino era però una carta costituzionale “flessibile” e cioè di grado pari a quello delle leggi ordinarie che potevano facilmente modificarla  anche totalmente e quindi era priva di una garanzia vera a tutela delle norme fondamentali di uno Stato, che devono prevalere non solo sulle leggi ordinarie precedenti ma anche su quelle successive proprio perché di rango inferiore.

Le vicende storiche hanno dimostrato l’intrinseca debolezza  di quella legge fondamentale soprattutto nella parte che doveva garantire i diritti di libertà dei cittadini che si  andarono via via affievolendo ad opera delle leggi di polizia e misure eccezionali della seconda metà e fine ‘800 fino alla cessazione totale  di tali libertà ad opera del fascismo che, nel “ventennio”(1922-1943), rivoluzionò lo Stato liberale trasformandolo in un regime dittatoriale (Stato totalitario) e arrivò ad approvare, 80 anni fa, la vergogna delle leggi razziali fasciste (R.D.L. nn. 1381,1390,1728,1779 del 1938 e leggi nn. 1024,1054, 1055 del 1939 e nn. 142, 517 del 1942), rivolte prevalentemente contro le persone di religione ebraica e applicate prima dal regime e poi dalla c.d. repubblica di Salò (tecnicamente Stato  fantoccio, formalmente guidato da Mussolini ma voluto dalla Germana nazista ed effettivamente diretto dalle sue forze di occupazione in Italia), poi abrogate durante il Regno del Sud con i R.D.L. nn. 25 e 26 del gennaio 1944. Lo Statuto Albertino, anche se solo formalmente, è rimasto comunque vigente nell’Italia unita fino all’approvazione della Costituzione repubblicana.

Durante la seconda guerra mondiale (1939-1945), con l’Italia fascista che faceva parte del c.d. Asse Berlino-Roma-Tokio ed era entrata in guerra a fianco della Germania nazista di Hitler il 10 giugno 1940, nell’anno 1943, dopo lo sbarco degli Alleati in Sicilia il 10 luglio  e l’approvazione dell’ordine del giorno di “sfiducia” al Duce  da parte del Gran Consiglio del fascismo,  il 25 luglio il Re Vittorio Emanuele III (1900-1944) revocò da primo ministro Mussolini, ne ordinò l’arresto e nominò al suo posto il maresciallo Pietro Badoglio visto che la guerra stava per essere perduta  e per cercare di restaurare un governo monarchico puro. Con l’armistizio di Cassibile nella Sicilia liberata, firmato dal generale Castellano per il  governo militare Badoglio I (luglio ’43- aprile ’44) e da un delegato del generale Eisenhover, Comandante in capo delle forze Alleate e proclamato l’8 settembre 1943, il Regno d’Italia  cessò le ostilità contro gli Alleati (Regno Unito  con Churchill e Stati Uniti d’America con Roosevelt, oltre la Francia con De Gaulle capo del CFLN e Presidente del governo provvisorio ed anche l’Unione Sovietica con Stalin e la Cina con Chiang-Kai-sheK) e diventò cobelligerante a fianco degli Alleati stessi dichiarando guerra, il 13 ottobre, alla Germania nazista che, dopo l’armistizio dell’8 settembre e lo sbarco degli alleati a Salerno, aveva occupato con le sue divisioni della Wehrmacht e delle SS l’Italia centro-settentrionale.

Nell’anno 1944 lo Statuto Albertino venne in gran parte sostituto dalla c.d.“Costituzione provvisoria” a seguito della soluzione di emergenza, atipica e transitoria, da attuare dopo la liberazione di Roma (poi avvenuta il 4 giugno), come mediata da Enrico De Nicola e derivante dall’iniziativa di Palmiro Togliatti di anteporre la lotta antifascista alla deposizione della Monarchia entrando nel governo Badoglio II (22 aprile-18 giugno ’44), il primo governo politico post-fascista sostenuto dai sei partiti del C.L.N. e con Vicepresidente Togliatti. La soluzione transitoria era stata sancita nel “Patto di Salerno”, sede del governo Badoglio, dell’aprile ’44 (c.d. svolta di Salerno), in base al quale il Re Vittorio Emanuele III si sarebbe ritirato a vita privata e avrebbe nominato il figlio, Umberto di Savoia, Luogotenente (non Re) del Regno (e non del Re, con richiamo invece alla Corona), come in effetti avvenne il 5 giugno ’44, e un’Assemblea costituente avrebbe poi deciso la forma istituzionale del nuovo Stato italiano dopo la fine della guerra. In proposito la Campagna d’Italia (1943-1945) condotta dagli Alleati lungo le successive linee difensive tedesche finirà con la  sconfitta totale delle forze armate nazifasciste e la formale Resa incondizionata di Caserta del 29 aprile, divenuta effettiva il 2 maggio; nella guerra di liberazione italiana, condotta dall’Esercito cobelligerante italiano e dalle Brigate partigiane nell’ambito della Resistenza durante la Campagna d’Italia, la data del  25 aprile 1945, in cui il CLN Alta Italia proclamò l’insurrezione generale  nei territori ancora occupati dai nazifascisti con la liberazione in particolare  di Milano e Torino, verrà scelta, con legge 260 del 1949 sulle ricorrenze festive, come anniversario simbolico della liberazione di tutto il territorio nazionale dalla dittatura fascista e dall’occupazione nazista in Italia  e di fatto  della fine della seconda guerra mondiale nel nostro Paese.

Il 18 giugno 1944  venne quindi costituito il primo Governo di Comitato di Liberazione Nazionale (C.L.N.) e cioè dell’organo che provvisoriamente sostituiva le Camere e designava in modo vincolante il Governo alla Corona. Il C.L.N. era composto da rappresentanti dei sei partiti antifascisti e cioè del partito socialista italiano di unità proletaria, partito comunista italiano, partito d’azione, partito della democrazia cristiana, partito liberale italiano e partito democratico del lavoro ai quali, nel periodo dei governi del maresciallo Badoglio, talvolta si aggiungeva il partito repubblicano italiano che, pur perseguendo un’azione politica concorde, non aveva formalmente  aderito al patto di unità d’azione nel campo politico e in quello della lotta contro i tedeschi e i fascisti stretto tra gli altri e dal quale nacquero appunto i Comitati di Liberazione Nazionale. La Presidenza del Consiglio dei ministri  dei governi di C.L.N. fu affidata prima al Presidente del C.L.N. Ivanoe Bonomi (pDL- 18 giugno 1944-21 giugno 1945- governi Bonomi II e III), poi a Ferruccio Parri (PdA- 21 giugno 1945-10 dicembre 1945) e infine ad Alcide De Gasperi (DC-governo De Gasperi I-dicembre 1945-luglio 1946, ultimo governo del Regno d’Italia), tutti di unità nazionale, composti da DC, PCI,PSIUP,PLI,PdA e pDL  e nominati dal Luogotenente del Regno Umberto II.

Con il decreto-legge luogotenenziale 25 giugno 1944, n. 151 (poi convertito in legge in sede di promulgazione della Costituzione con la disposizione transitoria XV) fu approvata la sopracitata “Costituzione provvisoria” che assegnava appunto la scelta delle  forme istituzionali al popolo italiano mediante l’elezione, a suffragio universale diretto e segreto, di un’Assemblea costituente per deliberare la nuova Costituzione ad avvenuta liberazione del territorio nazionale e attribuiva al Governo, oltre il potere amministrativo, anche il potere legislativo con promulgazione delle leggi da parte del Luogotenente generale del Regno fino all’entrata in funzione del nuovo Parlamento che li avrebbe dovuti approvare, come poi avvenne. La”Costituzione provvisoria” fu in seguito parzialmente modificata e completata  con il decreto legislativo luogotenenziale 16 marzo 1946, n. 48, che in particolare demandò alla diretta volontà popolare, mediante referendum, la scelta della forma istituzionale del nuovo Stato italiano, come poi avvenne nelle elezioni dei giorni 2 e 3 giugno 1946 (le prime elezioni libere dopo il 1924, anno delle elezioni per la  Camera e del rapimento e assassinio di Giacomo Matteotti -Deputato e segretario del PSU), in cui gli elettori e, per la prima volta, anche le elettrici espressero il voto per il referendum istituzionale, scegliendo la Repubblica  come accertato definitivamente dalla Corte di Cassazione, e contemporaneamente per l’elezione dell’Assemblea costituente. Ai governi del Regno fecero seguito, dopo il referendum istituzionale e la nascita della Repubblica Italiana, i due  governi sempre di C.L.N. e di unità nazionale De Gasperi II e III (luglio 1946-giugno 1947- DC,PCI,PSIUP,PRI), nonché il governo di centrismo De Gasperi IV (giugno 1947-maggio 1948-DC,PSDI,PLI,PRI), primo  di una serie di governi centristi, di coalizione o monocolori DC con appoggi esterni, fino all’anno 1963. Avranno poi inizio i  governi di centro-sinistra”organico” Moro I,II,III (dicembre 1963-giugno 1968-DC,PSI,PSDI,PRI) con la presenza di esponenti socialisti per la prima volta dal 1947, dopo l’accordo storico tra DC e PSI di Nenni voluto da Aldo Moro di cui ricorre quest’anno il 40° anniversario della morte il 9 maggio 1978, assassinato dalle Brigate rosse dopo il rapimento del 16 marzo e l’uccisione degli uomini della sua scorta. Moro negli anni 1974-1976 (governi Moro IV e V) promuoverà anche la strategia dell’attenzione verso il PCI di Enrico Berlinguer (Segretario dal 1972 alla scomparsa nel 1984), teorico del compromesso storico nell’ambito del progetto politico e ideologico dell’eurocomunismo con il distacco dall’URSS, che però non porterà il PCI a partecipare direttamente al governo del Paese, ma solo alla non opposizione o appoggio esterno (insieme a PSI,PSDI,PRI e PLI) ai governi monocolore di solidarietà nazionale Andreotti III e IV (1976 – 1979).

L’Assemblea costituente (giugno 1946-gennaio 1948), composta da 556 Deputati (207 della DC, 115 del PSIUP, 104 del PCI, 33 del PLI, 30 dell’UQ, 23 del PRI, 16 del BNL, 9 del pDL, 7 del PdA e  gli altri 12 di partiti e movimenti minori)i e con Presidenti prima Giuseppe Saragat (PSIUP) e poi Umberto Terracini (PCI), come primo atto, il 28 giugno 1946 nominò Capo provvisorio dello Stato l’avvocato Enrico De Nicola (PLI-luglio 1946-dicembre 1947) e primo Presidente della Repubblica italiana dal 1° gennaio all’11 maggio 1948, cui succedette l’economista e accademico Luigi Einaudi (PLI1948-1955) eletto dal nuovo Parlamento dopo le elezioni politiche del 18 e 19 aprile 1948 con lo straordinario successo della DC guidata da De Gasperi e la netta sconfitta del Fronte Popolare Democratico del PCI E PSI dopo la scissione socialdemocratica di Saragat nel 1947. L’Assemblea iniziò i suoi lavori creando la “Commissione dei settantacinque” con Presidente il giurista Meuccio Ruini e componenti i migliori nomi del diritto e della politica di allora (tra cui G. La Pira, G. Leone, A. Moro, C. Mortati, E.P. Taviani, E. Di Vittorio, N. Iotti, P. Togliatti, A. Giolitti, L. Basso, P. Calamandrei, A. Bozzi e altri) e che si articolò in tre Sottocommissioni sui diritti e doveri dei cittadini, sull’organizzazione costituzionale dello Stato e sui rapporti economici e sociali.

La Costituzione della Repubblica italiana, che costituisce il patto fondativo della nostra democrazia, è composta di 139 articoli suddivisi in Principi fondamentali, Parte I-Diritti e doveri dei cittadini e Parte II-Ordinamento della Repubblica , oltre XVIII disposizioni transitorie e finali, fu approvata dall’Assemblea costituente il 22 dicembre 1947 dopo 163 sedute in aula, venne promulgata dal  Capo dello Stato De Nicola il 27 dicembre 1947 e pubblicata lo stesso giorno nella Gazzetta Ufficiale n. 298 (Ed. Str.), corredata della seguente clausola “La Costituzione dovrà essere fedelmente osservata come Legge fondamentale della Repubblica da tutti i cittadini e dagli organi dello Stato” ed è entrata in vigore il 1° gennaio 1948.

La Costituzione repubblicana presenta alcune caratteristiche che derivano da scelte fondamentali e ben meditate dei nostri Costituenti. E’ una Costituzione “lunga” diversamente dalle prime Costituzioni ottocentesche di regola “brevi”, che lasciavano troppo spazio alla legislazione ordinaria, secondo un’impostazione già contrastata dal liberalismo di fine ‘800 e dalle democrazie del primo ‘900 con la Costituzione lunga di Weimar che instaurava una Repubblica democratica in Germania e quella della nuova Repubblica austriaca subito dopo la fine della prima guerra mondiale, entrambe caratterizzate da una maggiore sistematicità. I nostri Costituenti,  nel 1947, optarono per una Costituzione lunga anche perché l’Italia usciva da una dittatura ed era forte l’esigenza di regolare dettagliatamente i principi fondamentali di libertà e convivenza civile per rendere più difficoltosi eventuali nuovi sovvertimenti degli stessi. Su questo aspetto l’attenzione deve essere sempre alta in quanto la Costituzione può certo abbisognare di aggiornamenti ma non tali da  comportare lo stravolgimento dei valori fondanti.

Inoltre, dopo l’esperienza della precedente costituzione “flessibile” caratterizzante lo Statuto Albertino che, lasciato alla mercé delle Camere, era stato via via demolito con semplici leggi ordinarie, i Costituenti italiani optarono per una Costituzione “rigida” non modificabile dalle leggi ordinarie ma solo da leggi di revisione della Costituzione e altre leggi costituzionali con il procedimento particolare ed i limiti stabiliti rispettivamente dagli articoli 138 e 139 della Costituzione stessa. Essa si è così posta e si pone tuttora al vertice nella gerarchia delle fonti dell’ordinamento italiano. Per quanto riguarda il controllo di conformità delle leggi ordinarie alla Costituzione, fu scelto di affidarlo ad un organo apposito che è la Corte costituzionale in quanto, in caso di accertato contrasto con la Costituzione di una norma di  legge ordinaria, la stessa  viene cancellata dall’ordinamento con effetto erga omnes (nei confronti di tutti) e non per il singolo caso, come sarebbe stato se fosse stato scelto un controllo costituzionale c.d. diffuso e cioè affidato a tutti i giudici che avrebbe portato di sicuro ad interpretazioni difformi del diritto costituzionale.

La terza scelta dei Costituenti fu quella del tipo di Repubblica e l’art. 1 afferma che “L’Italia è una Repubblica democratica” (Stato Democratico) e che “La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione” e cioè che l’organo costituzionale originario è il corpo elettorale o parte attiva del popolo ma esclude che la sovranità del popolo possa scavalcare qualunque norma (Stato di diritto) prevedendo invece che la sovranità debba essere esercitata soltanto nelle forme indirette e o dirette previste dalla Costituzione stessa. La democrazia moderna non coincide con la democrazia diretta delle antiche città greche che amministrava sia la politica che la giustizia. Il principio democratico oggi si realizza in forma di democrazia rappresentativa dove la rappresentanza non è basata sul modello di diritto privato del “mandato imperativo” ma si configura, più che come rappresentanza di volontà, come rappresentanza di interessi. Caratteristiche importanti dello Stato democratico sono il suffragio universale che tende a far coincidere governanti e governati, le libertà civili dei cittadini e le libertà politiche non solo di espressione del voto libero e segreto ma anche di raggrupparsi in associazioni politiche o pluralità di partiti per evitare che diventi la dittatura del partito unico (Stato totalitario). La nostra Costituzione inoltre  sottolinea non solo la democraticità formale, appunto la democrazia di tipo occidentale, ma anche un forte grado di socialità  in quanto all’art. 1 vi aggiunge “fondata sul lavoro” e all’art. 3 afferma che “E’  compito  della  Repubblica  rimuovere  gli  ostacoli  di ordine economico  e sociale, che, limitando  di  fatto  la  libertà e l’eguaglianza  dei  cittadini,  impediscono il pieno sviluppo della persona  umana e l’effettiva  partecipazione  di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese.” ed ancora all’art. 4 dice“La  Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendano effettivo questo diritto.” (quindi Stato sociale, come caratteristica dei moderni Stati di diritto fondati sul principio di uguaglianza e sugli interventi pubblici nell’economia e nella società o c.d. sistema ad economia mista).

 Tra i tre tradizionali tipi di Repubblica, quello presidenziale, quello direttoriale e quello parlamentare, i costituenti hanno optato per la Repubblica parlamentare, con un Presidente della Repubblica che nomina il Governo, il quale è responsabile verso le Camere in base al meccanismo della fiducia, ma con il contestuale affidamento al Presidente della Repubblica  del potere di scioglimento anticipato delle Camere stesse. La nuova Costituzione, recependo il suddetto schema essenziale di Repubblica parlamentare, in parte se ne discosta per alcune sue caratteristiche  atipiche come il fatto che il Presidente della Repubblica è stato dotato anche di poteri di controllo, di equilibrio e di stimolo, nonché di poteri autonomi quali il c.d. “veto sospensivo” in sede di promulgazioni delle leggi (art. 74), il potere di messaggio libero (art. 87) e quello di nomina di un terzo dei giudici della Corte costituzionale (art. 135). Inoltre la Carta contiene la novità dell’introduzione della Corte Costituzionale che limita in modo efficace i poteri dell’organo legislativo controllandone la conformità dell’attività ai principi e disposizioni della Legge Fondamentale e attribuisce rilevanza costituzionale al Consiglio superiore della Magistratura (CSM) che garantisce la separazione dei poteri limitatamente all’indipendenza dei giudici dagli altri poteri dello Stato (art. 101 “La giustizia è amministrata  in nome del popolo. I giudici sono soggetti solo alla legge.” dove si è voluto  anche sottolineare che la giustizia non è di classe ma popolare e cioè effettivamente uguale per tutti. Infine altra caratteristica fondamentale della nostra Costituzione è quella dell’importante sviluppo che attribuisce alle autonomie, sia a quelle territoriali con l’istituzione di 19 Regioni (art. 131), poi divenute 20 nel 1963 con il  distacco del Molise, con potere legislativo ma prive del potere giurisdizionale e senza  proprie forze di polizia (c.d. Stato regionale, senza sfaldamento dell’unità nazionale- art. 5 “La Repubblica, una e indivisibile,..” e diverso anche dallo Stato federale) e con la rilevanza costituzionale attribuita alle autonomie locali (Comuni, Province e, dal 2001, Città metropolitane), sia a quelle istituzionali dei corpi intermedi come la famiglia, le associazioni civili, religiose, politiche e sindacali e sia a quelle individuali come i diritti di libertà affermati con vigore, rigore e  limiti determinati, quasi mai affidati alle scelte del potere legislativo e mai all’arbitrio dell’esecutivo (In proposito quest’anno ricorre anche il 70° anniversario della Dichiarazione universale dei diritti umani, composta da un preambolo e 30 articoli con l’impegno degli Stati membri a perseguire il rispetto e l’osservanza universale dei diritti umani e delle libertà fondamentali, approvata a  Parigi il 10 dicembre 1948 dall’Assemblea generale dell’ONU, di cui già facevano tutti gli Stati Alleati nella 2^ guerra mondiale e non quelli del c.d. Asse che entreranno nell’ONU solo nel 1955 (Italia), 1956 (Giappone) e 1973 (Germania).

La Costituzione italiana, pur essendo naturalmente  il risultato di un compromesso tra le forze politiche dell’epoca, nel suo complesso fa trasparire gli ideali di innovazione delle strutture dello Stato, di quello della dittatura fascista ma anche  di quello della monarchia sabauda, che erano stati anche i valori e simboli della Resistenza contro il nazifascismo nella guerra di liberazione italiana. Principi e valori che, in particolare, si concretizzavano nella democrazia rappresentativa o indiretta ma in parte anche diretta con la previsione degli istituti del referendum popolare abrogativo e del potere di iniziativa legislativa da parte del popolo, nella  garanzia  delle libertà individuali e di gruppo, della pari dignità sociale, dell’eguaglianza di fronte alla legge di tutti i cittadini e di quella tendenziale nelle condizioni di partenza, delle autonomie e del decentramento. Gli anniversari della Costituzione repubblicana, almeno quelli decennali, meritano attenzione e celebrazione da parte di tutte le Istituzioni  pubbliche e in particolare di quelle elettive che incarnano la nostra democrazia rappresentativa e pluralista, un bene comune da custodire e  preservare anche  rispetto ad eventuali nuovi avventurismi.

Dr. Alfonso Gentili – ex Segretario Generale della Provincia di Perugia