C’è ancora un futuro per il Todi Festival?

Riprendiamo da Città Viva un interessante articolo di Angelo Pianegiani

Triste il destino toccato in sorte negli ultimi anni al Todi Festival. Tanto osannato dagli attuali amministratori comunali quanto criticato dalle forze politiche di
opposizione (ma non solo da queste). Una polemica alimentata soprattutto dalla diffusa convinzione che la manifestazione non sia più in grado di stimolare
adeguatamente la crescita dei flussi turistici come nel passato, anche a causa di una perdita di spessore culturale che ha determinato una minore capacità di attrazione e di coinvolgimento nei confronti sia della cittadinanza sia dei visitatori provenienti da
altre località. In effetti c’è stato un tempo in cui questo evento aveva coagulato intorno a sé un consenso unanime: è stata quella l’età dell’oro del Festival. Ma come tutte le stagioni felici, che non durano per sempre, anche l’età dell’oro del Todi Festival è finita da tempo. Ciò che resta è un Festival zombi, passato dal
coinvolgimento al disinteresse dell’opinione pubblica, rattrappito su sé stesso, ormai
privo di fascino, cioè di quella componente che per un festival è tutto o quasi. Un
aspetto, quest’ultimo, efficacemente focalizzato dal direttore di questa rivista: “Che
cos’è un’aria da Festival? È quella che qualcuno citava, notandone l’assenza, in un
giorno qualunque della passata edizione: un’atmosfera continua, palpabile, che non
dovrebbe spuntar fuori nei piccoli affollamenti dell’ultim’ora davanti ai teatri, ma
avvertirsi più o meno sempre. Beh, è vero, non c’era. Ma perché, l’anno scorso
c’era? E gli anni passati? Meglio: l’ha mai avuta, quest’aria, il Todi Festival? Sì, un
tempo l’ha avuta, ma un tempo lontanissimo, alle origini» (Todi Festival 2023, pag.6-
8, CittàViva n.5/2023).
Il prossimo anno scade l’accordo fra il Comune e Gioform per l’organizzazione del
Todi Festival
Proporre oggi dubbi e perplessità non vuol dire che si voglia alimentare una pura e
semplice polemica. L’obiettivo, ben più importante, è quello di porre all’attenzione
della pubblica opinione il fatto che il prossimo anno rappresenta uno snodo
fondamentale per il futuro del Todi Festival. Infatti, con la delibera n° 20 del
27/01/2022 la Giunta comunale si è impegnata a confermare fino al 2024 la società di
Guarducci Gioform Srl come organizzatrice del Todi Festival, garantendone anche il
relativo sostegno economico. Ciò significa che alla fine dell’anno prossimo si dovrà
decidere il destino dell’evento che per un periodo lunghissimo (38 anni) ha
contrassegnato la vita culturale e la politica turistica della città. Si tratta di prendere
una decisione senza dubbio rilevante e delicata. Una decisione che, proprio per
questo, deve essere accompagnata da una riflessione, per quanto possibile
approfondita, che tenga conto dei vari fattori in gioco.

I costi del Todi Festival e il ruolo dei finanziamenti pubblici
Uno dei fattori da prendere in esame è quello del costo della manifestazione. A tal
fine è stata elaborata la Tabella n.1 (Costi del Todi Festival e importo dei contributi
pubblici) che riporta i dati economici relativi al periodo 2016-2022, cioè a partire dal
primo anno della gestione Guarducci, sulla base delle informazioni tratte dalle
delibere della Giunta comunale. Come è noto il Festival è organizzato da una società
privata, ma in larga parte finanziato dagli Enti pubblici, fra i quali svolge un ruolo
fondamentale il Comune che, di fatto, garantisce il pareggio economico della

manifestazione. Infatti, il contributo del Comune è erogato in due tranches: un
anticipo iniziale cui segue il saldo finale quantificato nella misura necessaria per
ottenere la copertura di tutte le spese (cosicché, di fatto, il rischio d’impresa ricade
sul Comune come pagatore di ultima istanza).

I dati riportati nella tabella possono essere così sintetizzati:

* nel settennio 2016-2022 le spese sostenute per l’organizzazione del Festival sono ammontate complessivamente a 1,711 milioni di euro;

* le spese sono state coperte per il 71% da contributi pubblici (prevalentemente comunali, in misura molto minore regionali e, marginalmente, da Etab);

* nel settennio i contributi erogati da Enti pubblici hanno raggiunto la somma di 1,221 milioni di euro (di cui ben 993 mila derivanti dal bilancio comunale);

* i ricavi da sponsor e da biglietteria riescono a coprire appena il 29% delle spese (quelli da biglietteria oscillano intorno ai 20/30 mila euro, tenuto conto anche della diffusa distribuzione di biglietti gratuiti);

* il costo medio di ciascuna edizione del Todi Festival è stato di circa 244 mila euro (un importo che sicuramente non consente di organizzare iniziative di livello adeguato!).

Gli oneri sostenuti dal Comune

In realtà i contributi economici versati dal Comune (come abbiamo visto, pari a 993 mila euro) non sono l’unico onere sostenuto dall’amministrazione locale a favore del Festival. Infatti, ad essi devono essere aggiunti i costi indiretti (da noi non quantificabili) “derivanti dall’impegno di collaborazione per la realizzazione dell’evento con la messa a disposizione degli spazi di proprietà dell’Ente stesso, secondo le effettive esigenze, con le attrezzature e supporti tecnici presenti negli stessi” (così come riportato nelle delibere di Giunta). Oltre a ciò, il Comune si è accollato ogni anno anche i costi connessi all’allestimento della mostra di arte contemporanea, con relativo catalogo, in cui vengono esposte le opere degli artisti che hanno realizzato il manifesto del Festival (allestimento affidato negli ultimi due anni alla Fondazione Pepper). Complessivamente i costi sostenuti direttamente dal Comune per le mostre ammontano a 200 mila euro, che aggiunti all’importo dei contributi determinano un onere totale a carico dell’Ente di 1,193 milioni.

Il ruolo della Fondazione Progetti Beverly Pepper

A questo punto è necessario chiarire il ruolo della Fondazione Pepper che, a partire dal 2021, ha assunto il ruolo ufficiale di partnership del Todi Festival, con il quale si è mossa in piena sinergia. La collaborazione della Fondazione è consistita nell’allestimento di una mostra alla Sala delle Pietre e nella esposizione delle sculture monumentali di Pomodoro (2021) e di Plessi (nel 2022), anche autori del manifesto del Festival. Due iniziative i cui costi a carico del Comune sono stati rispettivamente di 75 mila euro nel 2021 e di 70,5 mila euro nel 2022.

L’impatto del Todi Festival sulla città

Sin qui abbiamo parlato dei costi del Todi Festival. È quindi giunto il momento di analizzarne i benefici apportati. Ogni investimento ha un senso se ha una sua resa, cioè se produce gli effetti desiderati, altrimenti, in caso contrario, sono soldi gettati al vento. Ma quali sono gli effetti sperati di un evento culturale? In linea generale gli effetti positivi possono essere così classificati:

Effetti economici

Un evento non rappresenta solo un’occasione di spettacolo e di intrattenimento per il pubblico ma è anche uno strumento per generare ricadute economiche attraverso la spesa attivata dai visitatori e dallo staff organizzativo. Spese che non riguardano solamente i principali comparti della filiera turistica (ricettività, ristorazione) ma si ripercuotono anche su imprese di altri settori economici (enogastronomia, artigianato, espressioni artistiche locali, ecc.). è evidente che l’ammontare della spesa attivata è in funzione del numero dei visitatori. Purtroppo, il Todi Festival ultimamente non sembra attirare frotte di persone provenienti da altre località, se si esclude il caso dello spettacolo finale. Quindi si può presumere che gli effetti economici siano piuttosto modesti.    

Effetti sulla crescita dei flussi turistici

Un altro aspetto rilevante per valutare l’impatto di un evento riguarda la crescita dei flussi turistici che l’iniziativa è in grado di stimolare. L’aumento degli arrivi e delle presenze nelle strutture ricettive è strettamente legato alla capacità dell’evento di attrarre visitatori da fuori regione che soggiornano in loco e che magari approfittano della manifestazione per fermarsi qualche giorno per scoprire il territorio. Chi, negli ultimi anni, ha visto turisti di questo tipo durante il Festival è pregato di alzare la mano.

Effetto di immagine

Fra gli obiettivi di ogni avvenimento culturale c’è anche quello di favorire la visibilità del territorio su scala potenzialmente nazionale, aumentandone la notorietà e contribuendo positivamente alla sua immagine. Ma nel caso di un medio evento, come è il Todi Festival, la copertura mediatica è più ristretta, limitandosi quasi esclusivamente alla dimensione regionale e locale. Infatti, come è stato dimostrato in un precedente articolo (La monumentale rassegna stampa del Todi Festival 2019, pagine 8-9, CittàViva n.6/2019), le 900 pagine della rassegna stampa festivaliera erano caratterizzate dalla presenza preponderante dei siti web (che, peraltro, si sono limitati a rilanciare i comunicati ufficiali della manifestazione) con elevata frequenza di quelli umbri e da un’incidenza ridotta dei quotidiani, con netta prevalenza di quelli locali. Non a caso l’articolo citato si concludeva con queste parole: «Todi appare illuminata non dai riflettori dei grandi media nazionali ma dalla flebile luce di una moltitudine di candeline».

Quale futuro senza il Todi Festival?

Siamo quindi arrivati al quesito finale. Ha senso continuare con “questo” Todi Festival? Il gioco vale la candela? È ragionevole mettere in piedi la struttura di un festival (che comunque ha i suoi costi) il cui spettacolo clou è il concerto finale, cioè la presenza di un cantante scelto fra i tanti che in estate sono in giro per lo stivale e i cui manager aspettano solo di essere contattati per fissare un’ulteriore tappa del tour del loro artista? Ma di fronte al quesito scatta immediatamente la “sindrome dell’orror vacui”: se il Todi Festival non c’è più, che cosa facciamo?

In verità le opzioni possibili sono diverse:

 * è sempre possibile riesumare il vecchio brand del “settembre todino” (o qualcosa di simile) quale contenitore intorno al quale creare una specifica identità comunicativa, al cui interno programmare una pluralità di iniziative fra loro coordinate per coprire un arco di tempo che vada alla Festa della Consolazione alla Disfida di San Fortunato;  

 * il risparmio di risorse potrebbe consentire di finanziare interventi per restituire dignità e decoro alle tante vie cittadine attualmente abbandonate al loro riprovevole e inqualificabile squallore, nella convinzione che una città che “si presenta bene” agli occhi dei turisti è lo strumento più efficace per promuovere la propria immagine;

 * non ultimo, si creerebbero le condizioni finanziarie per incentivare lo sviluppo di attività economiche nel centro storico (e non solo).

Partito Democratico ” DOPO IL FALLIMENTO DI RUGGIANO UN NUOVO CAMPO PROGRESSISTA E CIVICO PER TODI”

I risultati delle elezioni amministrative del 3 e del 4 ottobre ci consegnano alcuni dati importanti, sia a livello nazionale che a livello regionale, che meritano un’analisi approfondita.

La netta affermazione del centrosinistra allargato nelle maggiori città italiane testimonia che siamo all’inizio di un percorso che può rivelarsi fruttuoso e vincente. Bando ai trionfalismi, ma non si può non evidenziare come l’idea di Enrico Letta di riorganizzare un nuovo campo, aperto e plurale, con il Partito Democratico come baricentro e con candidature forti ed autorevoli, sia stata premiata dagli elettori. Il Partito Democratico – vedasi, ad esempio, l’analisi dei flussi elettorali di YouTrend – è riuscito pure a rompere il confinamento nelle ZTL degli ultimi anni, recuperando consensi in “periferia” e riacquistando timidamente il radicamento sociale che spetta ad una forza progressista e di sinistra.

La strada da percorrere è ancora molto lunga, ma il fatto che la pandemia abbia stravolto schemi consolidati e che le forze conservatrici non siano in grado di dare risposte ai nuovi bisogni sorti dopo il rivolgimento che abbiamo vissuto nell’ultimo anno e mezzo è sotto gli occhi di tutti. Dall’emergenza pandemica, infatti, si esce da sinistra, cioè rinsaldando i legami di solidarietà, dando nuovamente centralità ai beni pubblici come la sanità e l’istruzione, difendendo il lavoro (nuovo sistema di ammortizzatori sociali, contrasto della precarietà ed investimenti sulla sicurezza nei posti di lavoro) e prendendo di petto la questione della transizione ecologica. Le parole d’ordine feroci della destra che spara a palle incatenate contro l’immigrato, il green-pass e la dittatura sanitaria, lisciando così il pelo ad una minoranza (per quanto rumorosa, fracassona e, purtroppo, violenta) dell’elettorato, sembrano davvero fuori tempo massimo.

Per venire al contesto umbro, non si può non intercettare il forte segnale di arretramento della destra che, speriamo, i ballottaggi certificheranno con ancora più forza. Il centrosinistra vince al primo turno ad Assisi con Stefania Proietti, è avanti a Spoleto con Andrea Sisti e si spartisce il secondo turno a Città di Castello. È uscito dall’isolamento degli ultimi anni e riesce ad essere fortemente competitivo con progetti di governo allargati al civismo seri e credibili Il campo progressista, col Pd come perno, è lo schieramento con la classe dirigente locale più preparata nel governare le città. È una classe dirigente politica autentica, riformista, competente, capace di unire e non inventata sui social.

Volgendo lo sguardo al 2022, anche a Todi va necessariamente messa in campo un’alternativa amministrativa retta da un nuovo campo che tenga insieme le forze progressiste di centrosinistra, il Movimento Cinque Stelle, il centro moderato ed il civismo. Non un’ammucchiata tanto per, ma un’alleanza progressista e civica che sappia far uscire Todi dall’isolamento in cui la destra l’ha fatta piombare negli ultimi anni, cementata da un progetto comune di lungo periodo per la nostra città e che torni ad occuparsi delle cose serie senza il paternalismo degli hashtag che abbia visto questi anni.

Todi ha bisogno di concretezza, di visione, di competenza, di legami (sia nazionali che europei) e, soprattutto, non di uomini soli al comando, ma di una squadra attrezzata e di una classe dirigente vera. Una classe dirigente prossima alle persone, che studi i dossier e sappia prendersi cura dei cittadini senza riempirli ogni tre per due della solita retorica edonistica ben rappresentata dallo slogan “la vita è bella”.

I risultati di un’amministrazione composta da persone ossessionate dall’effimero, dal superfluo e dai selfie mentre la realtà parla di una città in forte crisi sono tutto gli occhi di tutti. È ora di cambiare!

P.S. Prendiamo atto che anche CasaPound (perché Todi Tricolore, nonostante il lifting, sempre quello è) censura lo stile poco sobrio e basato sui selfie di alcuni componenti della giunta Ruggiano. Peccato essersene accorti solo ora per cercare di esercitare un’egemonia su alcuni frangenti della destra cittadina: noi lo diciamo da più di quattro anni!

LA FIGURA DEL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI NELLE COSTITUZIONI DEL REGNO E DELLA REPUBBLICA.

Parte terza

Dopo l’elezioni politiche del febbraio 2013 con risultati che, pur con il sistema maggioritario vigente, non consentivano la formazione di una maggioranza di Governo omogenea nelle due Camere e con il rinnovo, per la prima volta nella storia della Repubblica Italiana, del mandato al Presidente della Repubblica G. Napolitano che però lo ricoprì solo per meno di due anni fino al gennaio ’15, si riuscì nell’aprile ’13 a formare il Governo delle c.d. “larghe intese”(Governo Letta – di grande coalizione (PD-PdL/NCD-SC-UdC-PpI-RI). Il Presidente Napolitano comunque volle anche affidare ad una Commissione di esperti la stesura di un indice di argomenti per la riforma del sistema bicamerale e della forma di Governo al fine di favorire la nascita di Governi stabili ed efficienti. Il Governo Letta presentò quindi  alle Camere una proposta di legge costituzionale per l’istituzione di un Comitato bicamerale di 42 parlamentari con il compito di redigere uno o più progetti da approvare in Parlamento e sottoporre in ogni caso a referendum popolare. Tale progetto veniva però presto abbandonato con la nascita nel febbraio ’14 del Governo Renzi (PDNCDUdCSCPSIDemoSCD) che, a sua volta, predispose un’ampia riforma della Costituzione (con Ministra per le riforme costituzionali Boschi). La riforma, che peraltro non riguardava sostanzialmente i titoli II e III della parte II Cost. (Ordinamento della Repubblica), fu approvata dal Parlamento ma venne clamorosamente bocciata dal terzo referendum popolare del 4 dicembre ’16 (59,12% dei no), con le preannunciate dimissioni del capo del Governo.

Da ultimo il quarto referendum popolare del  20 e 21 settembre 2020  ha riguardato la legge di revisione costituzionale d’iniziativa del senatore Quagliariello di centro-destra (in quota IDeA) approvata in seconda votazione dal Senato nel luglio ’19 (Governo Conte I  -M5S-LSP-MAIE) e dalla Camera nell’ottobre ’19 (Governo Conte II – M5S-PD-LeU-IV-MAIE) relativa alle modifiche degli articoli 56, 57 e 59  Cost. in materia di riduzione del numero dei parlamentari che di fatto però ha contribuito a sminuire il fondamentale ruolo di intermediazione e la centralità dell’unica istituzione direttamente rappresentativa della nostra Repubblica democratica. La legge costituzionale approvata ha previsto un consistente taglio dei componenti di ambedue i rami del Parlamento con la riduzione dei deputati da 630 a 400 e dei senatori da 315 a 200 e ha specificato che il numero complessivo dei senatori a vita di nomina del Presidente della Repubblica e in carica non può essere in alcun caso superiore a 5. Il quesito referendario, in tempi di crescente populismo, ha ottenuto anche una larga approvazione popolare (quasi il 70% dei sì), con la partecipazione della maggioranza degli aventi diritto al voto (anche se non necessaria) e con la promulgazione e pubblicazione della l. c. n. 1 del 19 ottobre 2020.

I risultati dei referendum costituzionali finora svolti appaiono comunque indicare che il popolo (e più precisamente il corpo elettorale) del nostro Paese non sembra gradire modifiche sostanziali all’assetto dell’ordinamento della Repubblica (Parte II Cost.) e specialmente i rafforzamenti di potere di singoli organi dello Stato come quelli della figura del capo del Governo (Cfr. il risultato del referendum del ’06 sulla c. d. “grande riforma” nella parte seconda del presente studio). Questa avversione sembra derivare dalla saggezza e prudenza dei cittadini elettori forse anche perché memori o comunque ben consapevoli delle tragiche conseguenze subite dal popolo italiano dopo la svolta autoritaria attuata nel secolo scorsodal regime fascista e messa in atto già con la legge n. 2263 del dicembre 1925 (Governo Mussolini-dal ’22 al ’43- del Partito Nazionale Fascista (PNF) fondato a Roma nel novembre ’21 come forza nazionalista, conservatrice, antisocialista e antiliberale). Quella vecchia legge introdusse in Italia la figura del Primo ministro (o c.d. Premier e premierato) con la funzione di Capo del Governo (Art. 1). In precedenza il Re, in base allo Statuto Albertino, era “Capo Supremo dello Stato” e anche capo del Governo in quanto “al Re solo appartiene il potere esecutivo” (art. 5)  e “Il Re nomina e revoca i suoi Ministri” (art. 65), oltre al fatto che “Il potere legislativo sarà collettivamente esercitato dal Re e da due Camere: Il Senato, e quella dei Deputati (art. 3) . Con la legge del ’25 il ruolodi capo del Governo, oltre ad essere stato attribuito al Primo ministro,fu anche notevolmente rafforzato nei confronti del Parlamento che invece venne poi progressivamente esautorato dai suoi compiti legislativi fino a che, dal novembre ’26, si ebbe la fine  di ogni vita politica e la piena realizzazione del regime autoritario (e cioè la trasformazione dello Stato in senso autoritario in cui la sovranità è esercitata da un partito egemone o da un dittatore). Si pervenne alla soppressione delle libere elezioni e alla fine del regime parlamentare democratico  e liberale che fu sostituito da un regime dittatoriale a partito unico incentrato sull’autorità del capo del Governo e sul terrore poliziesco. Infine nel marzo ’39 si arrivò anche allo scioglimento della Camera dei deputati elettiva, sostituendola con la Camera dei fasci e delle corporazioni non elettiva, mentre il Senato era composto di membri ultraquarantenni nominati a vita dal Re in numero non limitato. Abbastanza forte appariva la somiglianza di contenuto della legge di revisione costituzionale della c.d. “grande riforma” approvata in Parlamento nel novembre ’05 (Governo Berlusconi III (FI-AN-LN e altri) con  la legge n. 2263 di cui sopra emanata 80 anni prima dal regime fascista, ma la stessa per fortuna fu poi nettamente bocciata (con il 61,29% dei no) appunto dalla maggiore saggezza e prudenza del corpo elettorale nel referendum del giugno ’06.

La forma di governo costituzionale vigente nella Repubblica italiana è infatti quella in cui  la sovranità è ripartita tra organi costituzionali diversi e in cui vige il principio della separazione dei poteri (legislativo, esecutivo e giudiziario). Nella forma di Governo parlamentare scelta dai padri costituenti i due pilastri sono da un lato il Governo nominato dal Capo dello Stato che deve godere della sua fiducia e però anche della fiducia del Parlamento e dall’altro lato  il potere del Capo dello Stato di sciogliere le Camere anticipatamente, investendo così il corpo elettorale del compito di rinnovare il Parlamento. In questo assetto istituzionale nasce una doppia responsabilità  del Governo (e vale a dire del Consiglio dei Ministri,quale organo della Repubblica previsto dal titolo III, sezione I della parte II Cost.) sia verso il Presidente della Repubblica che lo nomina che verso il Parlamento che gli concede la fiducia ma può anche togliergliela e in tal caso il Capo dello Stato è obbligato a licenziare il Governo e formarne un altro che riesca a  godere della fiducia del Parlamento. Ove invece il Capo dello Stato intenda sostenere il Governo e non licenziarlo ha solo il potere di sciogliere anticipatamente le Camere nella speranza che il nuovo Parlamento dia la fiducia (negata dal precedente) alla linea e al programma del Governo approvandone la politica condivisa appunto dal Presidente della Repubblica.

Proprio sull’ordinamento della Repubblica (parte II Cost.) e sulla forma di Governo torna di nuovo ad incidere il disegno di legge costituzionale n. 935 recante “Modifiche agli articoli 59, 88, 92 e 94 della Costituzione per l’elezione diretta del Presidente del Consiglio dei ministri, il rafforzamento della stabilità del Governo e l’abolizione della nomina dei senatori a vita da parte del Presidente della Repubblica” d’iniziativa governativa che è stato presentato il 15 novembre ’23 dalla Presidente del Consiglio G. Meloni di Fratelli d’Italia (partito di cui é la Presidente sin dal marzo ’14)in carica dal 22 ottobre ’22 e già Ministra per la gioventù del Governo Berlusconi IV, dal maggio ’08 al novembre ’11, in quota Popolo della Libertà (PdL che eranato dall’unione di FI e di AN) e dalla Ministra per le riforme istituzionali Alberti Casellati (di FI e già Presidente del Senato dal ’18 al ’22).

Alleanza Nazionale (AN) é stata una forza politica nazionalista e conservatrice di destra c.d. post-fascista, nata nel gennaio ’94 come lista elettorale (AN-MSI) per l’elezioni politiche del marzo ’94 dalle quali derivò il Governo Berlusconi I delPolo delle Libertà e del Buon Governo composto da FI-LN-MSI/AN-CCD-UDC e unico Governo della Repubblica che ha visto la presenza anche di esponenti del MSI (poi sciolto nel ’95) ma che è  rimasto però in carica solo otto mesi causa l’uscita dalla maggioranza della Lega Nord del fondatore U. Bossi. Viene anche ritenuto il primo governo della c.d. “Seconda Repubblica” caratterizzata dal consolidamento dei due schieramenti opposti di centro-destra e di centro- sinistra.  

AN era poi divenuta partito dal ’95 con leader e presidente G. Fini (peraltro già segretario del MSI dal ’87 al ’90 e dal ’91 al ’95) fino alla confluenza appunto nel PdL e al conseguente scioglimento di AN nel marzo ’09. Il partito di AN, che nel simbolo conservava anche la fiamma tricolore con sotto la scritta M.S.I., era composto dal MSI-DN (derivante dalla confluenza nel MSIdel partito dei monarchici nel ’72) e da altre associazioni e personalità di destra. Il partito MSI-DN venne sciolto il 27 gennaio ’95 proprio dal congresso di AN con la c.d. “svolta di Fiuggi” di G. Fini,chene è stato anche l’ultimo Segretario. Il Movimento Sociale Italiano, con simbolo la fiamma tricolore e sotto la scritta M.S.I., era statounpartito d’ispirazione neofascista (cioè volta a rivitalizzare l’ideologia fascista) fondato nel dicembre ’46 da alcuni reduci della Repubblica Sociale Italiana (RSI) come G. Almirante ed ex esponenti del regime. Era ritenuto l’erede del Partito Fascista Repubblicano (PFR), quale partito unico della RSI, fondato da Mussolini (dopo la caduta del fascismo il 25 luglio ’43) per combattere fino all’ultimo a fianco della Germania nazista e contro gli Alleati. Nel gennaio ’95 gli aderenti al disciolto MSI-DN erano poi confluiti in gran parte appunto nel partito di AN di destra e solo in parte in quello del Movimento Sociale Fiamma Tricolore (MSFT), noto come Fiamma Tricolore, di estrema destra e neofascista di P. Rauti e altri esponenti del MSI oppositori alla c.d. svolta di Fiuggi.

La  tradizione politica di AN, dopo lo scioglimento nel ’09, è stata poi raccolta dal partito di Fratelli d’Italia-Alleanza Nazionale più noto come Fratelli d’Italia (FdI) avente ancora nel simbolo la sigla M.S.I. sotto la fiamma tricolore e il nome di AN fino al ’17 e con la stessa sede nazionale già del MSI e di AN a Roma in via della Scrofa. Questo nuovo partito è stato fondato nel dicembre ’12 da La Russa, Crosetto, Meloni e altri di provenienza AN, PdL e MSI a seguito di una scissione dal PdL, che poi si dissolse nel novembre ’13 dopo l’ulteriore scissione del Nuovo Centrodestradi Alfano e la rinascita di Forza Italia. Fratelli d’Italia, il maggiore partito italiano alle ultime elezioni politiche del 25 settembre ’22 (26% dei voti contro il 4,30% di quelle del ’18), è nato come partito di destra post-fascista prosecutore della destra parlamentare di AN quale evoluzione del MSI. Non a caso però FdI nel suo simbolo ha continuato e continua tuttora a mantenere la fiamma tricolore già utilizzata storicamente come simbolo dal MSI,a differenza per esempio del Partito Democratico (PD), il secondo partito (19% dei voti) alle stesse elezioni del ’22, che è stato fondato nell’ottobre ’07 come partitodi centro-sinistra nato dalla fusione dei DS con La Margherita e con W. Veltroni eletto Segretario nazionale. Questo nuova formazione politica era stata preceduta appunto dal partito dei Democratici di Sinistra (DS) che, già dalla nascitanel febbraio ’98, non aveva più nel simbolo la tradizionale falce e martello del Partito Comunista Italiano. Dopo le elezioni politiche anticipate dell’aprile ’96 vinte dal centro-sinistra (L’Ulivo)il partito dei DS ha avuto come primo segretario M. D’Alema,il quale poi è anche diventato Presidente del Consiglio dei ministri ed è stato l’unico esponente di un partito di sinistra ex-comunista a ricoprire tale carica nella storia della Repubblica Italiana fino ad oggi, più precisamente nei due Governi D’Alema I e II del L’Ulivo (ottobre ’98 -aprile ’00). Il PCI,avente la sede nazionale a Roma in via delle Botteghe Oscure,era statosciolto nel febbraio ’91 su iniziativa del Segretario A. Occhetto e sostituitodal Partito democratico della Sinistra (PDS) quale evoluzione dello stesso PCI e avente ancora nel simbolo la falce e martello e la scritta P.C.I. sotto la nuova Quercia, mentre una parte minoritaria aveva dato vita con A. Cossutta al Partito della Rifondazione Comunista (PRC) di estrema sinistra.

Infine è anche da ricordare che l’organizzazione giovanile del MSI-DN denominata Fronte della Gioventù (FdG) di estrema destra nazionalista e neofascista, derivata dalla Giovane Italia del c.d. “Misse”, e in attività dal ’71 al ’96, aveva visto l’adesione attiva sia dell’attuale Presidente del Consiglio dei ministri e Presidente in carica di FdIa partire dal ’92 che dell’attuale Presidente del Senato negli anni ’70, quando addirittura ne era uno dei capi a Milano. Tutto questo anche per significare che i fatti e gli eventi della storia contemporanea soprattutto del proprio Paese se non del mondo intero, forse ancora poco studiata nelle scuole superiori, non dovrebbero essere mai ignorati dimenticati e nemmeno sottovalutati da parte dei cittadini elettori che tutti insieme (il corpo elettorale) sono l’organo originario dello Stato democratico in quanto “la sovranità appartiene al popolo” (art. 1 Cost.) e neanche da parte dei cittadini che in numero crescente non vanno più a votare e la cui scelta, quale che ne sia il motivo, è sempre un errore grave in quanto lasciano decidere gli altri anche se addirittura fossero una minoranza. Questa evenienza forse meriterebbe l’attenzione delle Camere legislative anche se troppo occupate quotidianamente a convertire la miriade di decreti legge provvedimento emanati dal potere esecutivo (Governo) che inoltre, con l’utilizzo troppo frequente della questione di fiducia, sta già di fatto assumendo anche il potere legislativo contro il principio fondamentale della separazione dei poteri proprio di uno Stato democratico (e non di uno Stato autoritario)e che purtroppo sta divenendo meno rilevante.

Fine parte terza

Li  15 marzo 2024

Dott. Alfonso Gentili, già Segretario Generale del Comune di Todi

Un grande concerto di livello internazionale, due grandi esecutori.

Il violinista Simon Zhu e la pianista Sophie Pacini. Introduzione al Concerto di Lucia Mencaroni che ha organizzato l’evento.

Uno strabiliante concerto si è tenuto ieri sera a Todi, nell’Aula magna del Liceo “Jacopone da Todi”, tale da allineare la città umbra alle grandi capitali europee della musica. L’evento era un’anteprima della rassegna “Note d’estate”, curata da Lucia Mencaroni e Stefano Giardino, giunta alla decima edizione, che ha avuto il merito indiscusso di portare alla ribalta di Todi artisti in erba di grandissimo valore promossi dalla Gioventù Musicale d’Italia. E bisogna dire che se questo era l’anticipo c’è da aspettarsi una stagione di lusso. Protagonisti sono stati due eccezionali musicisti, entrambi tedeschi sebbene il loro cognome riveli una provenienza asiatica in un caso e italiana nell’altro: il violinista Simon Zhu, nato a Tubinga, fresco della vittoria della cinquantasettesima edizione del prestigioso concorso violinistico internazionale “Premio Paganini” 2023, e la pianista la pianista Sophie Pacini di Monaco di Baviera, già messasi in luce in numerose occasioni, fra le quali il Progetto Martha Argerich di Lugano, e con alle spalle numerosi premi e riconoscimenti, come il Premio della Radio Nazionale Tedesca.

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Introdotto da Lucia Mencaroni, che con la sua profonda conoscenza e col suo lungimirante quanto infaticabile impegno seguita puntualmente a illuminare la vita culturale della sua città, e inframmezzato dai divertenti siparietti di Sophie Pacini, il concerto si è rivelato una rara occasione di godimento spirituale.
Il programma era particolarmente impegnativo: la Sonata in mi minore K. 304 di Mozart, la Terza sonata di Janàček, “I palpiti” in la maggiore op.13. Introduzione e variazioni sul tema di “Di tanti palpiti” dal “Tancredi” di Rossini di Niccolò Paganini, “A una voce lontana” di Silvia Colasanti e infine la Terza sonata in re minore op. 108 di Johannes Brahms.
A soli ventitré anni, Simon Zhu possiede tutte le qualità che denotano una personalità musicale di spessore: alto magistero tecnico che consente una gamma coloristica amplissima, virtuosismo impressionante mai fine a sé stesso ma puntualmente posto al servizio delle esigenze espressive, sensibilità interpretativa che sa caricare di significato ogni nota eseguita, conoscenza dello stile che individua con precisione pressoché infallibile le giuste sonorità per ogni brano eseguito. Nelle sue mani, il bellissimo strumento a sua disposizione, uno Zosimo Bergonzi costruito a Cremona nel 1760, diviene il tramite di un caleidoscopico avvicendarsi di stati d’animo, tutti in grado di coinvolgere l’ascoltatore in uno stretto rapporto con la pagina interpretata. Il violino di Zhu tocca le corde intime dell’animo e lo conduce in mondi lontani ma tutti ugualmente rapinosi e affascinanti.


Sophie Pacini dal canto suo si è dimostrata non solo una strumentista di vaglia, in possesso di un prodigioso arsenale tecnico, ma una musicista di rara finezza, in grado di assecondare la linea del violino con sonorità sempre commisurate allo spirito, alla dinamica e alle esigenze interpretative del pezzo.
Così è emersa pienamente la cifra stilistica della bellissima e singolare Sonata mozartiana, nella quale il ricorso al modo minore del genio salisburghese si colora ancora una volta di quella nascosta inquietudine, di quell’angoscia non gridata che caratterizzano il suo mondo interiore, soprattutto nel sorprendentemente moderno unisono che accomuna i due strumenti nell’enunciazione del tema iniziale.
Un salto in un paesaggio in cui distensioni liriche si alternano subitamente a ritmi di danza contadina improntati a un’apparente allegria, e a sonorità aspre e corrusche è avvenuto con la Sonata di Janàček, la terza delle sonate per violino e pianoforte del compositore moravo ma in realtà l’unica conservata. Di essa sono pervenute due versioni, la prima, stesa fra il 1913 e il 1914 e la seconda fra il 1918 e il 1919 e quest’ultima è stata quella eseguita. Nei suoi quattro movimenti, il brano fa trasparire come sinistri bagliori gli echi devastanti della guerra e il suo impianto formale sembra condizionato dall’oscillazione fra impulsi contrastanti che si succedono con disegni brevi e mordenti.
“I palpiti” di Paganini ha portato un momento di autentico tripudio del suono, dando modo al giovane violinista di dar prova della strepitosa padronanza tecnica dello strumento.
“A una voce lontana”, che ha aperto la seconda parte del concerto, è un brano per violino solo commissionato a Silvia Colasanti come pezzo d’obbligo proprio dal LVII Concorso internazionale di violino “Premio Paganini” 2023 vinto da Zhu. Il titolo è tratto da un verso della poetessa russa Anna Achmatova (“Come a una voce lontana presto ascolto, ma intorno non c’è nulla, nessuno.”) alla quale la compositrice romana dedicherà un’opera lirica che verrà rappresentata al Teatro alla Scala. La scrittura, preziosa e rarefatta, animata da nascoste polifonie e da struggenti abbandoni melodici, conferma l’altissimo grado di densità espressiva dell’invenzione di Colasanti che ne fanno una delle personalità di spicco e di riferimento della musica d’oggi.
L’estro interpretativo dei due musicisti ha poi trovato nella grandiosa Sonata di Brahms l’occasione per manifestarsi in tutte le innumerevoli possibilità. Il pathos che la pervade emerge subito dal tema iniziale, improntato a quella cantabilità distesa che si espande in lunghe arcate tanto cara all’Amburghese. La cavata possente e incisiva del Zhu, capace di sostenere benissimo il fraseggio brahmsiano, è andata di pari passo col tocco vibrante e appassionato di Pacini, formidabile nel controllare il complesso ordito della parte pianistica, in uno scambio di suggerimenti che qui come nei pezzi precedenti non ha mai mancato di andare a buon fine.
Alla fine, come prevedibile, il folto pubblico ha tributato un’autentica ovazione ai due musicisti che non si sono fatti pregare nel concedere due bis: il primo, affidato al solo violinista, costituito dal Ventiquattresimo capriccio in la minore di Paganini, in cui la pirotecnica successione delle variazioni ha coinciso con la tensione verso un’acme emotiva di incomparabile intensità, il secondo invece da un omaggio a Morricone, tratto dalla colonna sonora di “Nuovo cinema Paradiso”.
Usciti da questa serata indimenticabile col cuore in festa, ci siamo tutti augurati che le regole che governano l’asfittico e asfissiante sistema musicale non impediscano a simili talenti di affermarsi come meritano, specie nel nostro Paese, dove grazie alla pervicace ottusità della maggioranza dei direttori artistici, la fanno da padrone solo le scelte interessate di alcune agenzie o le cordate fra direttori d’orchestra di successo e solisti d’insuccesso, o viceversa.

LA FIGURA DEL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI NELLE COSTITUZIONI DEL REGNO E DELLA REPUBBLICA.

La parte seconda dello studio del dott. Alfonso Gentili.

 A seguito delle elezioni politiche del 18 e 19 aprile 1948 vinte dal partito della Democrazia Cristiana (DC) con oltre il 48% dei voti, la Repubblica visse una prima fase (1948-1955 con Presidente della Repubblica L. Einaudi) di c.d. congelamento costituzionale durante le Presidenze del Consiglio dei ministri dei Governi De Gasperi V, VI, VII e VIII di centrismo (Legislature I e inizio II) e quelle di Pella, Fanfani I e Scelba di sola DC o di centrismo con appoggi esterni vari o astensioni tra cui anche quella del MSI (nel governo Pella). Si aprì poi una seconda fase, con Presidente della Repubblica G. Gronchi (III Legislatura), che favorì l’evoluzione del  sistema politico dal centrismo al centro-sinistra e che invece si orientò al rilancio del modello costituzionale non attuato. Questa seconda fase, con Presidente del Consiglio del Governo Segni I di centrismo (DC-PSDI-PLI) vide l’attivazione nel ’56 della Corte Costituzionale, nel ’57 del Consiglio nazionale dell’economia e del lavoro e nel ’58 (Governo Zoli -DC con l’appoggio di PNM-MSI) del Consiglio superiore della Magistratura, nonché l’adozione di alcune leggi fondamentali come quelle dell’istituzione della scuola media statale (legge n. 1859 del ’62- Governo Fanfani IV di centrismo e per la prima volta con l’astensione del PSI – in attuazione dell’art. 34 Cost. sull’istruzione inferiore obbligatoria per almeno 8 anni) e dell’accesso anche delle donne a pubblici impieghi in condizioni di eguaglianza (legge n. 66 del ’63- Governo Fanfani IV– in attuazione art. 51 Cost.).

 Il percorso attuativo della Costituzione poteva però dirsi  in gran parte concluso nell’anno ’70  con l’attivazione degli istituti di democrazia diretta (Legge n. 352 del maggio 1970 (Governo M. Rumor III di Centro-sinistra organico DC-PSI-PSDI-PRI, formula che era stata avviata con i Governi del Presidente Moro I, II e III tra la fine del ’63 e la metà del ’68) sull’iniziativa legislativa del popolo e sui referendum previsti dalla Costituzione (artt. 71, secondo comma, 75 e 138, per l’ultimo dei quali in precedenza le leggi di revisione della Costituzione non potevano essere approvate se non con la maggioranza dei due terzi). Il completamento del percorso è  avvenuto con l’approvazione dello Statuto dei lavoratori di cui alla legge 300/1970 e soprattutto con l’attivazione nel ’70 delle 20  Regioni a Statuto ordinario elencate nell’art. 131 Cost. come modificato con l.c. n. 3 del ’63 istitutiva della Regione Molise. Le Regioni erano state già disciplinate dalla legge n. 62 del febbraio ’53 (Governo De Gasperi  VII) rimasta però  inapplicata per molti anni e modificata dalla legge n. 1084 del dicembre ’70 (Governo Colombo di centro sinistra organico) insieme alla legge 281 del maggio ’70 recante provvedimenti finanziari per l’attuazione delle Regioni. Con riferimento al rapporto tra territorio e governo, fra le tre tipiche forme di Stato (unitario, federale e regionale), l’Assemblea costituente infatti aveva scelto quella dello  Stato regionale e al rapporto tra popolo e governo, fra lo Stato autoritario e lo Stato democratico, aveva scelto quest’ultimo (art. 1).

Dal luglio ’46 fino al giugno ’81 da parte dei vari Capi di Stato erano stati nominati Presidenti del Consiglio dei ministri tutti esponenti del partito della DC e solo durante il settennato ’78-’85 del Presidente della Repubblica S. Pertini furono investiti della carica anche esponenti di altri partiti con i Governi Spadolini I e II del PRI e ilGoverno Craxi I del PSI e poi il Governo Craxi II nominato dal Presidente F. Cossiga (’85-’92) entrambi con coalizioni di pentapartito (DC-PSI-PSDI-PRI-PLI)  e con un intermezzo del governo Fanfani V di quadripartito e appoggio esterno PRI.

Nella seconda metà degli anni ’80 con la legge n. 400  dell’agosto 1988 e s.m.i. (Governo De Mita di pentapartito) sulla disciplina dell’attività di Governo e ordinamentodella Presidenza del Consiglio dei ministri è stata data attuazione dell’art. 95, terzo comma, Cost., dopo oltre 40 anni dalla sua entrata in vigore. Nell’ordinamento della Repubblica (Parte II Cost.) il Governo (Titolo III), cioè l’organo collegiale Consiglio dei Ministri (Sezione I) con sede a Palazzo Chigi dal 1961, è uno degli organi dello Stato insieme al Parlamento (Titolo I), al Presidente della Repubblica (titolo II) e alla Corte costituzionale (Titolo VI), oltre naturalmente al corpo elettorale che, in uno Stato democratico, è l’organo supremo perché la sovranità appartiene al popolo (Art. 1, comma secondo, Cost.). La legge 400 al Capo I ha disciplinato gli organi del Governo dopo averdefinito nell’art. 2 le attribuzioni del Consiglio dei Ministri che determina la politica generale appunto del Governo, l’indirizzo generale dell’azione amministrativa e delibera su una serie tassativa di atti e provvedimenti elencati. All’art. 5 ha poi precisato le attribuzioni e i poteri direzionali dell’organo individuale Presidente del Consiglio che è un organo dell’organo costituzionale Consiglio dei Ministri, diversamente dal Presidente della Giunta regionale e dal Sindaco che sono  direttamente organi della Regione (art. 121 Cost.) e del Comune (art. 36 Tuel). Il/La Presidente del Consiglio dei ministri tiene i rapporti con il Parlamento ed è solo lui  o lei che presenta alle Camere i disegni di legge d’iniziativa del Governo, indirizza ai ministri le direttive politiche e amministrative, promuove e coordina la loro attività e controlla i loro atti, concorda le loro dichiarazioni pubbliche, promuove e coordina sia le politiche comunitarie che i rapporti con le Regioni ed è a capo della struttura organizzativa denominata Presidenza del Consiglio dei ministri, mentre i singoli Ministri sono a capo delle strutture organizzative dei vari Ministeri.

Dall’inizio degli anni ’80 a fine secolo XX si è aperta anche una nuova fase che ha messo in gioco la riforma del modello costituzionale scelto dai nostri padri costituenti,i quali per la Repubblica italiana avevano optato per la forma di Governo parlamentare in modo che la sovranità popolare trovasse espressione tramite la centralità del Parlamento. Nell’ordinamento della Repubblica (Parte II Cost.) il Parlamento è infatti l’unico organo dello Stato composto di rappresentanti eletti direttamente dal popolo (o meglio dal corpo elettorale)e che, oltre al potere legislativo, ha anche la fondamentale funzione di esprimere la fiducia al Governo e cioè al Consiglio dei Ministri che invece è nominatodal Presidente della Repubblica, il quale a sua volta è eletto dal Parlamento in seduta comune e anche con la partecipazione di delegati regionali.Questo ben bilanciato assetto dei principali organi dello Stato repubblicano in quegli anni fu invece ritenuto carente in alcune parti, se non addirittura superato, con critiche che riguardavano la frammentazione della maggioranza, l‘instabilità dei Governi e la scarsa efficienza  dell’azione amministrativa, che però, a ben vedere, riguardavano più gli aspetti patologici del sistema politico che non il modello costituzionale. In quegli anni il dibattito sulle riforme costituzionali portò alla creazione di tre Commissioni bicamerali con il compito di procedere ad una revisione organica della Carta del ’48. Ma né la Commissione Bozzi negli anni ’83-’85, né la Commissione De Mita negli anni ’92-’94, né la Commissione D’Alema nel ’97-’98 riuscirono a portare a compimento i loro progetti di riforma.

Dopo la crisi del sistema politico all’inizio degli anni ’90 con la vicenda di tangentopoli e la connessa dissoluzione di alcuni partiti storici (come il PCI nel febbraio ’91, la DC nel gennaio ’94 e il PSI nel novembre ’94) una svolta si ebbe a seguito degli otto referendum popolari abrogativi  di leggi ordinarie dell’aprile ’93, promossi dal partito Radicale insieme al comitato di M. Segni e tutticon esito positivo, tra i quali in particolare i quesiti sul finanziamento pubblico dei partiti (90.3% di sì) e sull’elezione del Senato (82,7% di sì). La svolta è consistita nella riforma del sistema elettorale della c.d. “Prima Repubblica” (’46-’94) che, per l’elezione del Parlamento, da proporzionale divenne parzialmente maggioritario. Infatti attraverso la riforma elettorale che conseguì  a quei referendum con la c.d. legge Mattarella (dal nome del suo relatore e detta anche “Mattarellum“) e cioè le leggi n. 276 e n. 277 dell’agosto ’93 per il Senato e per la Camera e il d.lgs. n. 533 del dicembre ’93 (per il Senato) è iniziato un riassetto del sistema politico nella direzione di un’aggregazione bipolare delle forze politiche in campo e di una maggiore personalizzazione dei poteri di direzione del Governo. Inoltrela Commissione bicamerale, presieduta dall’on. D’Alema, nel giugno ’97 (Governo Prodi I-L’Ulivo –PDSPPIRIUDFdVSISRPSFLMCU) approvò un progetto di riforma che prevedeva un forma di Stato ispirata al modello federale e incentrata sul rafforzamento dei poteridelle Regioni e dei Comuni, una forma di Governo semipresidenziale “temperata” fondata  sull’elezione popolare diretta del Presidente della Repubblica (Capo delloStato) con minori poteri di quello francese e controbilanciato dalla figura di un Primo ministro forte (combinando così il modello francese e quello inglese). La proposta di riforma prevedeva anche un bicameralismo imperfetto con il Senato come organo rappresentativo del sistema delle autonomie e con un complesso di garanzie ampliando i poteri della Corte costituzionale. Poco dopo l’inizio dell’esame alla Camera dei deputati, nei primi mesi del ‘98 i lavori della Commissione però si arenarono e il progetto (nato dal c.d. “patto della crostata” tra PDS-FI-AN e PPI  del giugno ’97 a casa di G. Letta)  fu congelato  a seguito del famoso ribaltone di Berlusconi con la sua richiesta di un cancellierato (in cui il capo del Governo viene eletto dal Parlamento come in Germania e Austria) e di un sistema elettorale proporzionale.

Sempre sull’ordinamento della Presidenza del Consigli dei Ministri e in attuazione della legge delega n. 59del marzo 1997 e s.m.i. (Governo Prodi I -L’Ulivo) è intervenuto anche il decreto legislativo n. 303 del luglio 1999 e s.m.i. (Governo D’Alema I -L’Ulivo -DS-PPI-Dem-UDEUR-FdV-PDCI-RI-UV). Il d. lgs. 303/1999 ha potenziato le funzioni autonome del Presidente del Consiglio dei ministri, ha eliminato le funzioni riferite a compiti impropri gestionali o operativi e gli ha attribuito invece quelle volte a garantire il collegamento funzionale  e operativo con le altre amministrazioni, rafforzando il suo ruolo costituzionale di indirizzo politico amministrativo assegnatogli dall’art. 95 Cost. . Si tratta delle funzioni di vera direzione politica (come la direzione del CdM, la progettazione delle politiche generali e le decisioni d’indirizzo politico  generale),  delle funzioni di rappresentanza del Governo con le altre istituzioni (rapporti con il Parlamento e gli altri organi costituzionali, con le Istituzioni dell’UE, con le Regioni e gli enti locali) e delle funzioni di coordinamento dell’attività normativa e amministrativa del Consiglio dei Ministri, delle attività di comunicazione istituzionale e più in generale delle politiche di settore ritenute strategiche dal programma di governo ivi compreso il monitoraggio del loro stato d’attuazione, rafforzandone notevolmente il ruolo di indirizzo politico amministrativo del Governo.

Il primo referendum popolare su una legge costituzionale (Art. 138 Cost.; ad oggi ne sono stati svolti quattro) è stato quello sulla legge di revisione del Titolo V (Le Regioni, le Province, i Comuni) della Parte II Cost. (Ordinamento della Repubblica), nel testo approvato dal Parlamento e pubblicato in G.U. nel marzo ’01 (Governo Amato II -L’Ulivo –DSPPIDemUDEURFdVPdCIRISDI), che si è tenuto il 7 ottobre ’01 con esito positivo (64,21% dei sì) e quindi con l’entrata in vigore della legge costituzionale n. 3 dell’ottobre ’01.

A seguito dell’elezioni politiche del 13 maggio 2001 la coalizione vincitrice di centro-destra nel 2003 (Governo Berlusconi II -Casa delle Libertà -FI-AN-LN-UDC-NPSI-PRI) ha proceduto alla presentazione di un disegno di legge costituzionale diretto a modificare sensibilmente la Parte II Cost. (Ordinamento della Repubblica), anche sotto la pressione della Lega Nord favorevole ad ampliare le funzioni delle Regioni attraverso la c.d. devolution in una prospettiva di tipo federalista. Il disegno di revisione costituzionale è stato anche ampliato con la previsione di un rafforzamento dei poteri del Presidente del Consiglio dei ministri,che inoltre veniva denominato non più Presidente del Consiglio bensì Primo  Ministro in direzione di un c.d. “premierato forte” che accentuava la primazia del “Premierin misura sconosciuta a tutte le democrazie liberali,le quali in estrema sintesi sono una forma di governo che combina il principio liberale dei diritti individuali con quello democratico della sovranità popolare. Il progetto legislativo avrebbe portato all’introduzione di una forma di Stato e di una forma Governo molto diverse da quelle in essere e fu approvato col solo voto della maggioranza delle due Camere nel novembre ’05 (Governo Berlusconi III –Casa delle Libertà). Il secondo referendum popolare del 25 e 26 giugno ’06 (Governo PRODI II-L’Unione-DSDL/PDPRCRnPPdCIIdVFdVUDEURISIDCULpA-ALSDLDMRE) su tale legge costituzionale, cui tra l’altro partecipò la maggioranza del corpo elettorale, ha però assegnato una netta prevalenza ai voti contrari (61,29% dei no) bocciando quel testo di legge costituzionale della c.d. “grande riforma” che pertanto non fu promulgata. Peraltro è anche da notare che l’art. 138 Cost. sul referendum confermativo delle leggi costituzionali non richiede alcun quorum di partecipazione, a differenza dell’art. 75 sul referendum abrogativo delle leggi ordinarie che per la sua validità prescrive la partecipazione della maggioranza dei cittadini elettori.

Fine parte seconda

Li  2 marzo 2024

Dott. Alfonso Gentili, già Segretario Generale del Comune di Todi

Scopri l’assassino.

intervento di ‘L’osservatore Tuderte”

Guardate bene questa foto.

Come nel più avvincente giallo di Agatha Christie, tra questi personaggi si nasconde l’autore di uno dei più misteriosi e avvincenti “delitti” perpetrati negli ultimi anni alla nostra comunità cittadina.
La vicenda è nota per essere sulla bocca di tutti i tuderti da diversi mesi, ma in questi giorni ha assunto contorni grotteschi.
Domenica 3 marzo 2024, nel tardo pomeriggio, con un post della pagina istituzionale del Comune di Todi, viene annunciato che il giorno dopo (complimenti per la tempestività) sarebbe stato avviato il cantiere per
la rimozione della pavimentazione rovinata in Via Ciuffelli.
L’incipit del responsabile del Comune per la comunicazione è grandioso: “A distanza di un anno dalla realizzazione dei lavori di pavimentazione di Via Ciuffelli e Via Mazzini, sono comparse delle lesioni in quattro punti specifici”. Se avesse scritto “a distanza di appena un anno dalla realizzazione dei lavori”,
sarebbe stata l’apoteosi! In pratica è la stessa amministrazione comunale che certifica il fattaccio, un autogol in piena regola…
Si…perché è tutto vero, dopo una inaugurazione in pompa magna avvenuta ad Aprile 2023, oggi, a meno di un anno di distanza, la pavimentazione presenta numerose lesioni (in quattro punti, scrive il solerte aautore dell’articolo); in particolare davanti alla scalinata di San Fortunato, le mattonelle sono quasi tutte lesionate. Già l’inaugurazione…questa amministrazione, tra tagli vari di nastri, si è sempre data un gran da fare, come testimoniato dalla vivace attività comunicativa sui canali social, ma forse farebbe bene a fare meno proclami e a lavorare meglio.
Scusate l’ultima digressione e torniamo alla foto. Come nella più classica delle faide familiari, in questi giorni i soggetti coinvolti cercano di sfilarsi, declinando le proprie responsabilità. Ha cominciato l’azienda fornitrice delle mattonelle, la FMS di Pantalla, che ha prontamente pubblicato un comunicato sul TamTam,
al fine di allontanare ogni sospetto sulla presunta inadeguatezza delle mattonelle, che ricordiamo, per chi non lo sapesse, sono una imitazione della pietra serena, ma realizzate con aggregati di inerti e calcestruzzo.
La FMS precisa che quel materiale, non solo è stato usato in tantissimi centri storici italiani ma anche che test di laboratorio e svariate certificazioni ne attestano la carrabilità pure con carichi molto pesanti. Ci si potrebbe credere perché quando il nostro sindaco ha avuto la bella idea di chiudere il traffico ai giardinetti per i mezzi con peso superiore a 35 q.li, a tutti era venuto il sospetto che fosse un modo per evitare il traffico pesante su una pavimentazione non idonea a determinati carichi. Tuttavia, proprio per destituire di fondamento il terribile sospetto, era stato anticipato il collaudo con una prova di carico fino a 44 q.li che aveva avuto esito positivo. Il primo sospettato potrebbe avere un alibi.
Rimangono altri sospettati, e a tal proposito possiamo farci delle domande in attesa di qualche mossa falsa.
L’assassino infatti torna sempre sul luogo del delitto e prima o poi lascia la sua impronta.
La prima domanda che ci poniamo è…se le mattonelle, come sembrerebbe, sono già state usate in contesti similari, se sono certificate e hanno superato svariati test di resistenza, non potrebbe essere colpa del massetto o comunque del pacchetto sottostante? Non potrebbe essere colpa, quindi, della non corretta
posa in opera da parte dell’impresa esecutrice dell’appalto?
E se invece l’impresa esecutrice avesse eseguito in modo scrupoloso un progetto sbagliato? Se cioè, e sempre che la colpa non sia delle mattonelle, il pacchetto di sottofondo non sia stato progettato bene?
Sia nell’uno che nell’altro caso, ad ogni modo, c’è un colpevole che possiamo individuare già ora, ossia l’amministrazione comunale che nel primo caso non ha vigilato sulla corretta esecuzione dell’opera oppure, nel secondo, ha fatto proprio un progetto che presentava delle carenze.
Scusate, non abbiamo parlato della vittima! La vittima è la città di Todi, che da questa buffa situazione, ne esce ferita e umiliata.
Una città che da anni stenta sotto il profilo commerciale, con un centro storico sotto assedio di paletti e divieti, in cui è diventata un’impresa portare la merce nei negozi. Una città che in certi periodi sembra l’abomino della desolazione e niente, neppure in quei giorni si può aprire il “banco per le castagne” che da
anni orna la nostra piazza. Ecco…questa città che cerca di andare avanti nonostante tutto e tutti, si meritava qualcosa di buono, ossia un lavoro fatto come Cristo comanda (perdonate la locuzione colorita).
Invece no, in prossimità della Pasqua, si riapre la nuova pavimentazione in 4 punti, eliminando temporaneamente tutti i parcheggi a pagamento davanti alla scalinata di San Fortunato.
Poco danno dirà qualcuno. Noi pensiamo, invece, che nella situazione in cui versa Todi sotto il profilo commerciale e non solo, non ci si possa permettere di dover riaprire un cantiere perché il lavoro, dopo un anno, ripetiamo, UN ANNO,
presenta lesioni diffuse lungo tutto il tratto oggetto dell’appalto.
Ma qui viene il bello e ci verrebbe da ridere, se invece non ci fosse da piangere!
Se la causa delle fessurazioni risiede in un lavoro non eseguito a regola d’arte oppure in un errore progettuale, il crimine sarà aggravato dalla continuazione… perché a questo punto è facile prevedere che si dovrà mettere mano, nei prossimi mesi, a numerosi interventi di ripristino in punti in cui le lesioni non si sono ancora palesate. Corriamo seriamente il rischio di dover assistere a lavori permanenti per chissà quanto tempo per un appalto iniziale di nemmeno 300 mila euro.
Nel frattempo, dall’alto della sua finestra, il sindaco osserva e non dice nulla, salvo fare svariati proclami nelle dirette del venerdì. Lui e tutta la giunta, in un mondo ideale, dovrebbero dimettersi perché questa è l’ennesima gaffe inanellata da questa amministrazione in soli due anni, che dapprima ha inaugurato il proprio mandato con il caso Ranchicchio nell’estate 2022, ha proseguito con la scriteriata gestione dell’Ospedale MVT, ha confermato la sua ambiguità sulla questione Inceneritore, per poi raggiungere la gloria per i posteri con il cantiere di Via Ciuffelli-Mazzini. Nel mezzo, ha bloccato il traffico ai giardinetti costringendo l’autobus a una manovra folle e ha soppresso la linea A nel centro, visto che tanto la usavano solo 4 vecchi (parole del sindaco). In compenso, ora possiamo sorpassare in curva ai giardinetti perché per
consentire all’autobus di fare l’inversione a U, si è pensato bene di cancellare la riga continua e farla diventare tratteggiata.
Diciamola tutta, non ci interessa trovare necessariamente un colpevole, forse ce n’è più di uno e magari lo scopriremo nell’ultima riga dell’ultima pagina di questo cold case. L’unica cosa veramente interessante sarebbe scoprire nella stessa ultima riga che la vittima, con il più bello dei colpi scena, respira ancora e
forse si salverà, alla faccia dell’incompetenza e dell’approssimazione di chi governa la nostra città.
La vita è bella!

MAI SOLI MAI a Todi. Gli anziani e la Città.

Un intervento dfi Maurizio Pierdomenico

Il 29 febbraio 2024 ho partecipato alla presentazione del progetto “MAI SOLI MAI” presso il Circolo Pozzo Beccaro a Todi.

Vorrei condividere alcune osservazioni che, spero, siano recepite come sollecitazioni costruttive.

In primo luogo, la divulgazione dell’iniziativa che, vista la modesta partecipazione, ritengo sia stata carente.

La mia presenza deriva dal tema che ritengo importante, quello degli anziani soli, fragili presenti a Todi e sul territorio comunale. Tutto ciò anche in collegamento al mio impegno a difesa dell’ospedale di Pantalla per cui volevo conoscere la proposta nel dettaglio.

Non me ne abbia la relatrice ma un punto carente è proprio la presentazione che aveva un ritmo intimo, personale scollegato dalla platea. In certe occasioni un po’ di verve, coinvolgimento sarebbe auspicabile. Non si possono dare per scontati alcuni termini come internet, sim dati, banda, tablet. Termini corretti ma lontani da molti anziani che appena oggi riescono a gestire un cellulare almeno nelle funzioni primarie e ipotizzare salti diventa operazione complessa e di molto.

Sia ben chiaro la strada tecnologica ipotizzata dal progetto è la strada del futuro ma non possiamo pensare di dire prendi un tablet e fai questo o quello oppure il dispositivo di telesoccorso a cui risponde la centrale Beghelli. Già sentire che risponde la centrale Beghelli crea un muro perché non si sa chi sono, come operano, ecc. Forse potrebbe essere sufficiente dire che risponde la centrale di assistenza.

Altro aspetto non secondario i costi che potrebbero apparire modesti ma che per molti, probabilmente, non lo sono. Stiamo parlando di 20 euro al mese per versione base (senza tablet) e di 32 euro mese (con tablet) per versione plus. Senza considerare eventuali sim dati, collegamento internet. Ora se ben compreso ci sono alcune disponibilità gratuite, non so se per un anno o per sempre.

Fatta questa premessa ritengo l’idea interessante sia per l’obiettivo che ha per la platea dei destinatari ma manca di un percorso preparatorio, sia informativo, che non può essere risolto con presentazione spenta al cospetto di non più di 10 persone.

All’interno dell’incontro sono rimasto molto colpito dall’intervento della dott.ssa Federica Stagnari che molto più concretamente ha posto in evidenza le enormi difficoltà conosciute e nuove che coinvolgono gli anziani e fragili.

Ecco questo è un passaggio che andrebbe sviluppato subito ed in maniera molto analitica e concreta.

Tra le nuove emergenze si evidenzia quella relativa alla gestione dei rifiuti. Sembra che sempre più persone detengano in casa rifiuti accumulati. Non ho compreso se le cause sono difficoltà nel gestirli, impossibilità di raggiungere i contenitori e/o di esposizione e ritiro.

A Todi sembra esistano decine di associazioni. Io partirei da queste creando un nucleo di volontari che su indicazione dei servizi sociali possano partire da queste criticità meno tecnologiche ma molto concrete. Ciò consentirebbe anche di implementare rapporti di fiducia tra persone così da poter ampliare i servizi offerti. La fiducia è un elemento importante.

È assodato che i rapporti di vicinato si siano deteriorati per varie motivazioni e vanno sostituiti con altre forme di sostegno.

In altre città hanno preso il nome di “portiere di quartiere”, “Borghi d’argento” (Comune San Venanzo, Ficulle e Parrano), “operatore di quartiere”, “maggiordomo di quartiere” e così via.

Maurizio Pierdomenico

Successo del sondaggio ”Vivi il Centro” oltre mille hanno risposto.

Si terra’ sabato 9 Marzo alle ore 16 presso la sala vetrata dei Portici Comunali la presentazione dei risultati del sondaggio promosso dal Comitato Cittadino “Vivi il Centro” sul Centro Storico di Todi.
Al sondaggio hanno risposto oltre 1000 cittadini ( residenti e non residenti in centro ) che rispondendo alle diverse domande hanno fornito un quadro sufficentemente esaustivo della situazione attuale.
Il campione degli intervistati è pressochè equamente suddiviso tra residenti del centro storico, residenti appena fuori le mura e delle frazioni, segno questo che l’argomento è sentito dalla cittadinanza tuderte e che le sorti del Centro Storico non sono di esclusivo appannaggio dei residenti. La stragrande maggioranza di chi ha espresso un proprio giudizio è un lavoratore che si reca in centro per svago e reputa scarsa la capacità di accesso.
Nel corso dell’incontro verranno presentate le proposte del Comitato in merito al regolamento del traffico e alle proposte di modifica della ZTL, e nel corso del dibattito sarà possibile condivedere riflessioni e idee sugli argomenti all’ordine del giorno per sottoporli poi all’attenzione dell’Amministrazione Comunale.

IL MINISTERO RISPONDE AI QUESITI POSTE DALLE FORZE DI OPPOSIZIONE IN ORDINE ALLA CONVOCAZIONE DEI CONSIGLI COMUNALI APERTI:

REGOLAMENTO E STATUTO DA MODIFICARE; IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO NON PUO’ RIFIUTARE LA CONVOCAZIONE DEL CONSIGLIO APERTO.
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Il Ministero dell’Interno, a seguito dell’iniziativa dei Consiglieri di opposizione, ha sostanzialmente censurato l’operato del Presidente del Consiglio (Giorgio Tenneroni – FdI), che non ha il potere, come invece fatto, di rifiutare la convocazione dei Consigli aperti alla cittadinanza, né tale potere spetta alla Conferenza dei Capigruppo, alla quale tale decisione era stata demandata dal medesimo Presidente.
Ne risulta una bocciatura della procedura attivata dal Presidente Tenneroni, con l’indicazione che, sul punto, deve decidere il Consiglio Comunale.
Il Ministero rileva anche la necessità di modificare lo Statuto Comunale ed il Regolamento sul funzionamento del Consiglio Comunale che, in materia di Consiglio aperto, sono stati considerati di “non chiara interpretazione”.
A questo punto il Presidente del Consiglio Giorgio Tenneroni non potrà rifiutare, come fatto in precedenza, le richieste di convocazione del Consiglio Aperto; quindi, nei prossimi giorni, dovrà avviare le procedure per la Convocazione del Consiglio Aperto in tema di servizi sanitari presentata a febbraio da Civici X Todi – PD – Sinistra per Todi – Todi Civica e Per Todi.

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Il 29 febbraio i Consiglieri Comunali di Todi hanno ricevuto la risposta del Ministero dell’Interno sul quesito posto dalla Prefettura di Perugia a seguito della nota dei Consiglieri di opposizione che contestavano il diniego del Presidente del Consiglio alla richiesta di convocazione di un Consiglio aperto in materia di uso del territorio ed energie rinnovabili e chiedevano l’intervento del Prefetto
La vicenda: otto consiglieri avevano presentato una richiesta di convocazione del Consiglio Comunale in forma aperta alla cittadinanza, per discutere in ordine alle ipotesi di uso del territorio comunale per l’installazione di impianti per lo sfruttamento delle energie rinnovabili (fotovoltaico ed altro).
Il Presidente del Consiglio, sentita la Conferenza dei Capigruppo, con un articolato provvedimento aveva negato la convocazione, ritenendo di averne i poteri.
Sul diniego i medesimi Consiglieri avevano adito il Prefetto di Perugia affinché esercitasse, ove ne avesse ravvisato i presupposti, il potere di convocazione del Consiglio Comunale previsto dal Testo Unico Enti Locali (art.39 co.V°).
Il Prefetto, data la peculiarità della materia, chiedeva un parere al Ministero dell’Interno.
Il Ministero con la nota acquisita il 29 febbraio ha evidenziato l’impossibilità dell’intervento sostitutivo del Prefetto, in ragione delle difficoltà di inquadramento del Consiglio Comunale cd “aperto”, per la difficoltà di coordinare le norme dello Statuto Comunale e quelle di cui al Regolamento del Consiglio Comunale.
Per tale motivo il Ministero ha suggerito di porre rimedio a questa situazione mediante le opportune modifiche ai due atti.
Il passo più importante però è quello in cui il Ministero afferma che sulla convocazione si deve esprimere il Consiglio nella sua totalità, di conseguenza il diniego non è un potere del Presidente del Consiglio.
Nella sostanza, con riferimento al caso concreto, il Presidente del Consiglio non poteva arrogarsi il potere di decidere se convocare o meno il Consiglio aperto, ma avrebbe dovuto rimettere la questione all’Assemblea.
In particolare, il Presidente ha motivato il diniego sulla base del parere del Sindaco e di quello della Conferenza dei Capigruppo, che sul punto si era spaccata a metà (8 voti a favore ed 8 voti contro).
L’iniziativa dei Consiglieri di opposizione ha quindi permesso di fornire chiarezza su un punto fondamentale: il Consiglio Comunale è ente supremo e ad esso devono essere rimesse tutte le questioni attinenti il funzionamento e gli argomenti da trattare; il Presidente non può arrogarsi il potere di decidere cosa possa essere portato alla attenzione del Consiglio.
Così, stante le lacune in materia di Consiglio aperto, la decisione circa la convocazione non spetta al Presidente ma al Consiglio.
L’argomento è di stretta attualità, in quanto pende una richiesta di Consiglio aperto in materia di servizi sanitari e di funzionamento dell’Ospedale della MVT.
Questa volta, alla luce del parere del Ministero, il Presidente non potrà rifiutare la convocazione ma dovrà rimetterla al Consiglio.
Sullo sfondo la inadeguatezza e le contraddizioni di cui allo Statuto ed al Regolamento per il funzionamento del Consiglio, rispetto alle quali il sottoscritto si farà promotore di un intervento di revisione.
Dal punto di vista politico rimane la sensazione che, al di là dei tecnicismi, nella fattispecie il Presidente non abbia adeguatamente tutelato le prerogative del Consiglio, appoggiandosi sul parere del Sindaco e della Conferenza dei capigruppo per evitare di portare all’attenzione del Consiglio e della cittadinanza un argomento scomodo, ossia non gradito alla Giunta ed all’attuale maggioranza.
La speranza è che da ora in poi il Presidente sia più attento nella gestione delle sue funzioni, che deve esercitare al di sopra dell’appartenenza politica e senza interferenze da parte della Giunta; nell’immediato l’auspicio è che convochi senza ritardo il Consiglio Aperto in materia di sanità, evitando al sottoscritto ed agli altri preponenti di dover interpellare nuovamente il Prefetto ed il Ministero dell’Interno.
Gruppo Consiliare Civici X Todi

Fratta Todina: imminenti i lavori per la mensa scolastica

Il Sindaco, Gianluca Coata, annuncia l’importante opera pubblica

Un significativo tassello per le opere pubbliche nel territorio frattigiano. Si tratta della nuova mensa per la scuola primaria “25 aprile”. E’ il primo cittadino, Gianluca Coata, ad annunciare con soddisfazione l’inizio, a breve, dei lavori.
“Per questa importante opera pubblica sono stati utilizzati fondi PNRR – spiega Coata – . Il comune ha acquisito un’area adiacente alla scuola di proprietà di una azienda privata. Il progetto, poi, è stato presentato con una tempistica da record, proprio lo stesso giorno dell’atto notarile, grazie anche al lavoro serrato dell’ufficio tecnico comunale e del progettista esterno”. Interamente in cemento armato, il fabbricato sarà costruito in aderenza al nuovo edificio in cui sono state realizzati la palestra e le nuove aule.
L’edificio si svilupperà su due piani per una superficie di 200 mq circa: il piano terra sarà destinato alla cucina, mentre il primo piano sarà interamente adibito al refettorio per circa 50 bambini.
L’investimento per la realizzazione della mensa ammonta ad oltre 500 mila euro, di cui quasi 180 mila finaziatti con fondi del bilancio comunale.
“Quest’opera – continua il Sindaco – va a completare un servizio già avviato nel 2022 dal Comune insieme alla Direzione didattica e l’USR regionale, per il tempo pieno, dalle ore 8.00 alle 16.00”. “Una scuola primaria in crescita” – conclude – per cui crediamo di aver raggiunto gli importanti obbiettivi di una maggiore qualità dell’offerta formativa, e di un servizio molto utile alle famiglie.
Da ultimo, ma non per importanza, la mensa sarà un edificio all’avanguardia dal punto di vista tecnologico: con ulteriori finanziamenti è stato realizzato il relamping dell’impianto elettrico per avere ulteriori risparmi sui consumi di energia elettrica e con le risorse dell’efficientamento energetico sono stati installati pannelli fotovoltaici e batterie di accumulo che andranno ad alimentare l’intero edificio scolastico. L ‘Amministrazione è sempre attenta alla sicurezza, all’ammodernamento e al risparmio energetico degli edifici scolastici, infatti tutte le strutture sono sicure e adeguate alle normative”.

LA FIGURA DEL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI NELLE COSTITUZIONI DEL REGNO E DELLA REPUBBLICA

Le ultime elezioni politiche del 25 settembre 2022 sono state vinte dalla coalizione di centro-destra con circa il 44% dei voti e con un notevole incremento dei voti raccolti dal partito di Fratelli d’Italia che dal 4% circa delle precedenti elezioni del marzo ’18 è riuscito ad arrivare a circa il 26%, a fronte peraltro di un calo di voti della LSP di circa il 9% e di FI di circa il 6%. Nel programma elettorale unitario di quello schieramento uno dei punti principali era l’elezione diretta del Presidente della Repubblica. Il nuovo Governo Meloni di destra-centro (FdI, LSP, FI, NM (IaC, RI), insediatosi il 22 ottobre ’22, ha invece presentato al Senato della Repubblica  a metà novembre ’23 il disegno di legge  costituzionale n. 935 d’iniziativa governativa e a firma proprio del Presidente del Consiglio dei ministri G. Meloni e del Ministro senza portafoglio per le riforme istituzionali e la semplificazione normativa M.E. Alberti Casellati recante “Modifiche agli articoli 59, 88, 92 e 94 della Costituzione per l’elezione diretta del Presidente del Consiglio dei ministri, il rafforzamento della stabilità del Governo e l’abolizione della nomina dei senatori a vita da parte del Presidente della Repubblica”.  Questo clamoroso cambio di rotta, ad avvenuta espressione del voto popolare,  rende utile un approfondimento sulla figura e carica di Presidente del Consiglio dei Ministri.

In Italia il titolo di Presidente del Consiglio dei ministri era già  utilizzato, anche se solo per prassi, durante  la vigenza dello Statuto Albertino concesso ai sudditi dal Re  di Sardegna (Carlo Alberto  della dinastia di Savoia) per sua volontà il 4 marzo 1848. Con la concessione dello Statuto, che fu la prima costituzione del Regno di Sardegna comprendente anche la Savoia, il Nizzardo, la Liguria e il Piemonte (1720-1861- costituzione ottriata, dal francese octroyée, ossia di regia concessione), il Re aveva così’rinunciato ad essere un  sovrano assoluto. Restava comunque fermo che (artt. 2 e 3 Statuto) “Lo Stato é retto da un Governo Monarchico Rappresentativo“, che” Il potere legislativo sarà collettivamente esercitato dal Re  e da due Camere: il Senato e quella dei Deputati” e che (art. 65) ” Il Re nomina e revoca  i suoi Ministri” in quanto anche nella nuova monarchia costituzionale,caratterizzata dall’accoglimento dei principi liberali,al Re (almeno agli inizi) continuavano a spettare il potere esecutivo e il ruolo di capo del Governo. Nel Regno d’Italia nato nel 1861, dopo il Risorgimento, come Stato unitario sul modello della Francia napoleonica e con le istituzioni comunali e provinciali regolate dalla legge, non è sancita la figura del Presidente del Consiglio fino al c.d. decennio Depetris, esponente moderato a capo della Sinistra storica, alla guida del primo governo della storia d’Italia costituito da soli politici di sinistra e che varò anche la riforma scolastica con l’istruzione elementare obbligatoria laica e gratuita per i bambini da 6 a 9 anni.  

Nell’agosto 1876 infatti fu emanato il Regio decreto n. 3289, che determinava gli oggetti da sottoporre a deliberazione del Consiglio dei ministri e in tale decreto si legge “sulla proposta del Presidente del Consiglio dei ministri, Ministro delle Finanze, Abbiamo decretato e decretiamo..…”.  In seguito con il R.d. n. 466 del 14 novembre 1901 (Re d’Italia Vittorio Emanuele III e Governo Zanardelli appartenente anch’esso alla sinistra storica e autore, come Ministro di grazia e giustizia nel governo Crispi I, del nuovo e avanzato Codice penale del 1890 che tra l’altro abolì la pena di morte e rimase  in vigore fino al 1930),  agli articoli 3 e seguenti  sono stati definiti anche i poteri  e le funzionidel Presidente del Consiglio dei ministri.

Lo Statuto del Regno, quale legge fondamentale perpetua e irrevocabile della Monarchia, restò appunto in vigore anche dopo l’Unità d’Italia proclamata con la legge 17 marzo 1861, n. 4671, articolo unico,  che recitava ” Il Re Vittorio Emanuele II assume per sé e suoi successori il titolodiRe d’Italia” appena dopo l’inaugurazione,  il 18 febbraio 1861, del primo Parlamento italiano (quello del Regno d’Italia) con sede a Torino fino al 1865, poi a Firenze fino al 1871 e infine a Roma.  Lo Statuto Albertino, che non prevedeva alcun procedimento né per la sua modifica né per verificare la conformità delle leggi allo Statuto, restò in vigore per tutta l’esistenza delRegno d’Italia come Carta costituzionale dello stesso. Con le leggi eccezionali, c.d.  “fascistissime”, degli anni 1925 e 1926 che alteravano la struttura  e gli equilibri dell’ordinamento statutario e in mancanza nello stesso Statuto di ogni forma di controllo sulla costituzionalità delle leggi,  avvenne la svolta autoritaria dell’ordinamento giuridico del Regno che portò al regime dittatoriale fascista instaurato dall’allora Presidente del Consiglio B. Mussolini e che aveva tra i suoi postulati l’autoritarismo, il partito unico e il nazionalismo bellicista con il definitivo  arretramento del potere legislativo e della sovranità del legislatore, preminente secondo la tradizione liberale e anche suprema guarentigia del sistema parlamentare, in favore invece del potere esecutivo dello Stato fascista. Con la legge n. 2263 del dicembre 1925,all’art. 1, venne infatti disposto che” il potere esecutivo è esercitato dal Re per mezzo del suo Governo, che  il Governo del Re è costituito dal Primo Ministro Segretario di Stato e dai Ministri Segretari di Stato e che il Primo Ministro è Capo del Governo “. Il titolo di Presidente del Consiglio dei ministri venne quindi cancellato e sostituito, nel ventennio della dittatura fascista, con quello di Primo ministro proprio per accentuare la  posizione di supremazia  della carica allo stesso riservata. Tale termine viene dal francese “premier ministre” o in forma abbreviata “premier” e la sua adozione da luogo al c.d.  “premierato”come variante della forma di governo parlamentare con la caratteristica dell’indicazione del capo del Governo (Premier o Primo ministro) da parte dell’elettorato oppure di un ruolo comunque rafforzato dello stesso nei confronti del Parlamento. Lo Statuto del Regno d’Italia restò in vigore fino al referendum istituzionale del 2 giugno 1946 sulla forma di governo tra Monarchia e Repubblica tenutosiinsieme all’elezione dell’Assemblea costituente, in cui per la prima volta votarono pure le donne.

La Costituzione della Repubblica Italiana è stataredatta da una Commissione per la Costituzione di  75 membri, presieduta da M. Ruini e nominata al proprio interno dall’Assemblea costituente. La Commissione ha predisposto il progetto della nuova Costituzione e lo ha approvato e presentato nel febbraio ’47 all’Assemblea costituente (Presidente U. Terracini) la quale, dopo un lungo e approfondito esame e un confronto e dibattito anche vivace in aula,  il 22 dicembre ’47 è arrivata ad approvare il testo finale della nuova Costituzione che è stata poi promulgata dal Capo provvisorio dello Stato E. De Nicola il 27 dicembre ’47. La Costituzione italiana è entrata in vigore il 1° gennaio 1948  (Governo De Gasperi IV di Centrismo (DC-PSLI-PLI-PRI) che aveva presieduto anche l’ultimo Governo del Regno d’Italia (De Gasperi I, nominato da Umberto II di Savoia) dal dicembre ’45 al luglio ’46 e i due governi del Comitato di Liberazione Nazionale (CLN) dal luglio ’46 al giugno ’47. La Costituzione della Repubblica, cento anni dopo la concessione dello Statuto Albertino,  nella Parte II(Ordinamento della Repubblica), Titolo III (Il Governo), all’art. 92, primo comma,  afferma che  “Il Governo della Repubblica è composto del Presidente del Consiglio  e dei ministri, che  costituiscono insieme il Consiglio dei ministri” e cioè l’organo collegiale di governo della nostra Repubblica democratica (art. 1). Il Presidente del Consiglio è nominato (art. 92, secondo comma, Cost.)dal Presidente della Repubblica dopo le consultazioni con i Presidenti dei due rami del Parlamento e con le delegazioni dei partiti politici (Segretari di partito e Capigruppo parlamentari) mentre i singoli ministri sono nominati su proposta del Presidente del Consiglio. I costituenti nello scegliere il tipo di  organizzazione dei poteri, tra i due modelli di Governo presidenziale (USA) e di Governo parlamentare (di tradizione Europea) in cui il potere esecutivo spetta ad un Governo o eletto dal Parlamento o nominato dal Capo dello Stato ma che deve avere la fiducia del Parlamento (ed anzi i cui membri per molto tempo sono stati quasi esclusivamente membri del Parlamento), optarono per il sistema parlamentare in cui il Governo è espressione della maggioranza parlamentare, pur consapevoli che questo poteva comportare i rischi dell’instabilità governativa a causa delle variabili maggioranze nel Parlamento stesso. Per superare tali rischi introdussero correzioni volte ad evitare eventuali degenerazioni del parlamentarismo stabilendo (art. 94) che il Governo, dopo la sua formazione, deve ottenere anche il voto di fiducia in ambedue le Camere (e quindi dipende dalla fiducia della maggioranza) su mozione motivata e votata per appello nominale per evitare le c.d. manovre sottobanco e ha diritto di restare in carica fino a quando non sia costretto alle dimissioni da un voto di sfiducia motivato su mozione presentata almeno da un decimo dei parlamentari e messa ai voti non prima di tre giorni per evitare i c.d. colpi di mano. Si tratta dei fattori di controllo e di contrappeso (i checks and balances) del nostro sistema costituzionale.

E’ bene anche ricordare che la nuova Carta costituzionale, nell’organizzazione della democrazia con il sistema rappresentativo, non ha concentrato il potere né nell’Assemblea dei rappresentanti del popolo (anzi della Nazione e senza vincolo di mandato -art. 67) né nel Governo espresso dalla maggioranza, ma piuttosto ha predisposto dei congegni di suddivisione e articolazione dei poteri come le due Camere, un Presidente della Repubblica con il ruolo non di governo e decisione politica ma di stabilizzatore e di garante di tutti, un potere giudiziario indipendente, una Corte costituzionale abilitata ad annullare anche gli atti del Parlamento e una considerevole articolazione regionale del potere politico, legislativo e amministrativo. Il Presidente della Repubblica ai sensi degli articoli 83 e seguenti Cost. viene eletto, a scrutino segreto e per sette anni, dal Parlamento in seduta comune dei membri della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica e di tre delegati per ogni Regione, tranne la Valle d’Aosta con un solo delegato. Il Presidente della Repubblica è il capo dello Stato,rappresenta l’unità nazionale e, tra l’altro, ha il comando delle Forze armate, presiede il Consiglio superiore della magistratura e può sciogliere le Camere, sentiti i loro Presidenti, o anche una sola delle stesse, ma non negli ultimi sei mesi del suo mandato, salvo che coincidano anche in parte con quelli di fine legislatura, tutti poteri  che appunto non comportano decisioni politiche di merito.

Il Presidente del Consiglio per formulare la proposta di nomina dei ministri tiene conto necessariamente delle indicazioni dei partiti politici che formeranno la maggioranza, salvo l’eccezione dei governi che non sono espressione di una coalizione di partiti già costituita in sede di elezioni politiche (es. governi tecnici L. Dini nel ’95 e M. Monti nell’11). Già la procedura di nomina dei ministri mette la figura del Presidente del Consiglio dei ministri su un piano diverso dagli altri componenti dell’organo collegiale e anche per questo la vecchia teoria del “primus inter pares“(“primo fra gli uguali”) delle Monarchie assolute, dove era appunto il principale ministro del Monarca, appare da tempo non più valida. Infatti già nella Costituzione vigente la figura del Presidente del Consiglio risulta in posizione superiore rispetto agli altri membri del Consiglio sia per il citato potere di proposta di nomina dei ministri che per la sua funzione, in base all’art. 95, primo comma, Cost., di direzione della politica generale del Governo e connessa responsabilità e perché gli compete anche di mantenere l’unità di indirizzo politico ed amministrativo promuovendo e coordinando l’attività dei ministri. Pertanto il Presidente del Consiglio arriva, già solo così, a costituire il centro propulsore dell’azione di governo  e il suo timoniere.

Fine parte prima

Li  19 febbraio 2024

Dott. Alfonso Gentili, già Segretario Generale del Comune di Todi

Italia Viva sulla Sanità nella Media Valle Tevere

La Regione Umbria governata dalla Tesei, mirabile rappresentante della destra di Salvini e Meloni con delibera del 28 dicembre 2023 ha dato inizio alla riorganizzazione e ottimizzazione del Servizio Sanitario Ospedaliero e di quello Territoriale.

In poche parole si sta dando corpo a quel generico Piano Sanitario Regionale 2022 -2026: “ Umbria – La Salute al Centro “.

Un piano che prometteva – con l’utilizzo delle rilevanti risorse provenienti dal Next generation Eu parte delle quali destinate al PNRR Missione 6 “Salute”- equità nell’accesso ai servizi su tutto il territorio regionale, semplificazione nell’ammissione alle prestazioni ospedaliere, sicurezza nell’erogazione delle cure.

Un piano che noi di Italia Viva ed i cittadini della MVT con noi consideriamo ambiguo e dannoso perché lascia intuire un sostanziale impoverimento dell’assistenza ospedaliera nel territorio.

La conferma della penalizzazione, la troviamo nella riconsiderazione dei presidi sanitari ospedalieri dove quello di Pantalla, originato nel 2012 dalla chiusura degli Ospedali di Todi e di Marsciano, unico Ospedale della Media Valle Tevere e dell’intero territorio che va da Ponte San Giovanni a Terni, con una densità abitativa pari a tante altre zone simili, viene definito o, se volete, confermato Ospedale di Base, diversamente da quanto deliberato per le altre realtà territoriali che, in deroga agli indicatori fissati per legge, sono state  riconosciute Dipartimenti di Emergenza-urgenza ed Accettazione di 1° livello.

Stiamo parlando di un moderno complesso ospedaliero autonomo, nato con una dotazione di 120 posti letto (102 + 18 per dialisi ), 5 sale operatorie, 1 TAC, 1 Risonanza magnetica, 3 Radiografi, 1 Ortopanto 1 Mammografo 3 Sale ecografiche, 2 Sale endoscopiche, 17 poliambulatori, RM cardiaca, MOC, etc.. oltre alla presenza di un valido personale medico e paramedico specializzato, che verrebbe ad essere funzionalmente integrato con l’Azienda Ospedaliera di Perugia, DEA di 2° livello.

Naturalmente I sindaci di destra Mele e Ruggiano che sono al governo delle città numericamente più rappresentative dell’area, dopo un lungo sconcertante silenzio, difendono il provvedimento regionale di riordino del servizio ospedaliero definendolo vantaggioso per l’intera comunità della Media Valle Tevere.

Parlano di integrazione funzionale e sinergica con l’Azienda Ospedaliera di Perugia, di un nuovo dinamismo e di continua operosità grazie all’intervento di èquipe di Perugia che si sposterebbero a Pantalla per gli interventi, rendendo così più produttivo il blocco operatorio presente in Ospedale.

Italia Viva, non può e non vuole credere alle promesse di amministratori che hanno ampiamente dimostrato di essere incapaci di mantenere la parola data, basti pensare a quelle prese in giro relative alla terapia intensiva o a quella riguardante l’attivazione di un centro per la procreazione assistita.

Ci opponiamo quindi a questo progetto e chiediamo per Pantalla, l’immediata revisione della classificazione da Ospedale di Base a DEA 1.

Nel 2020, a seguito delle esigenze organizzative della Regione legate alla gestione dell’emergenza COVID-19 ed al conseguente utilizzo dell’Ospedale di Pantalla, a fronte del venir meno delle funzioni proprie di quel presidio ospedaliero, era stato promesso alla comunità della Media Valle Tevere l’immediato inserimento nel citato programma d’integrazione con Perugia.

Quindi, a pensar bene, per noi della Media Valle Tevere non c’è niente di nuovo in questo riordino: la cosiddetta integrazione è in atto da tempo e come ampiamente dimostrato con gli estenuanti viaggi dei pazienti e dei loro familiari nei più diversi e lontani ospedali della regione, non funziona e non potrà mai funzionare per svariati motivi.

Italia Viva insiste nel chiedere l’assegnazione di DEA 1 perché l’ Ospedale della Media Valle Tevere è un presidio dotato di attrezzature e tecnologie avanzate che  consentirebbero tra l’altro lo svolgimento di funzioni di HUB tecnologico di telemedicina al fine di migliorare il lavoro dei medici di medicina generale e facilitare l’assistenza domiciliare dei pazienti cronici. Si potrà così garantire una reale autonomia ed una specifica missione  per questo presidio.   

Al momento a Pantalla i settori attivi previsti sono: Medicina generale, Chirurgia generale programmata, ortopedia e traumatologia, ostetricia e ginecologia (con soli 4 posti letto)e la riabilitazione ortopedica. Il punto nascita è stato definitivamente eliminato, così confermando la grave marginalizzazione dell’assistenza sanitaria nella MVT.

Ci chiediamo: potrà essere garantito un vero Pronto Soccorso con medici h24, cioè fare in modo che nella struttura sia sempre presente quel personale medico e paramedico formato per le urgenze mentre un’altra equipe è impegnata con l’ambulanza per una emergenza?

Saranno assicurate tutte le necessità diagnostiche e terapeutiche di base?

A che punto siamo con la realizzazione degli obiettivi previsti con il PNRR, con la creazione di strutture e presidi territoriali come le Case della Comunità e gli Ospedali di Comunità di Marsciano e di Todi, etc… ?

A che punto siamo con l’incremento del personale infermieristico dedicato all’assistenza domiciliare, intervento che risulterebbe già  finanziato con fondi del PNRR?

Il problema Liste di attesa come intendiamo contrastarlo, ricorrendo a convenzioni con la sanità privata?

Lo chiediamo perché sembrerebbe che siamo in netto ritardo su tutto.

Nei dibattiti sin qui tenuti con le competenti autorità politiche e tecniche, compreso quello più recente di Marsciano con l’Assessore Coletto, abbiamo notato la solita scarsa attenzione alle osservazioni ed alle richieste avanzate, abitudine questa che, con rammarico, notiamo essere usuale.

L’ Umbria non molto tempo fa era una delle regioni più accreditate come modello di sanità pubblica per qualità ed autonomia ospedaliera, adeguata copertura del territorio e tempi di risposta accettabile alla domanda di salute dei cittadini compresi quelli della Media Valle Tevere.

Dopo la pandemia la Sanità in Umbria ha mostrato e continua a mostrare, senza ombra di dubbio, una realtà pesantemente cambiata, ma non si possono chiedere alle sole famiglie della MVT continui sacrifici anche economici (perché il tempo ha un prezzo) per accedere a prestazioni cliniche in strutture distanti fra a/r anche 180 Km. da casa.

Sappiamo che la Sanità è la grande malata, che vi è una forte carenza di medici, infermieri, tecnici di laboratori, fisiatri, etc….

Italia Viva ha chiesto al Governo di riaprire la linea di credito del MES sanitario, che metterebbe a disposizione 37 miliardi di euro per la nostra Sanità a condizioni convenienti.

Dal Governo Meloni nessun riscontro nemmeno dopo il campanello d’allarme fatto suonare dalle regioni per far fronte a situazioni di squilibrio di bilancio e neppure dopo l’astensione dal lavoro di tutto il personale sanitario medico e paramedico che protesta contro una manovra che sottrae ulteriori risorse al comparto.

Italia Viva, in questi giorni sta sostenendo la petizione del Coordinamento Comitati Ospedale MVT, una istanza che condividiamo ed invitiamo tutta la comunità a sottoscriverla per avere un’assistenza sanitaria sostenibile, uniforme, equa e vicina ai nostri bisogni.

                                                         Il Coordinamento di Italia Viva della MVT