Emergenza nazionale Covid. La nuova disciplina legislativa fa timide aperture alle Regioni.

Prosegue l’analisi della legislazione in materia sanitaria. L’analisi del dott. Alfonso Gentili.

Nel precedente articolo “In emergenza sanitaria nazionale è lo Stato che ha il potere di decidere” del 21 aprile 2020 è stata presa in esame la disciplina legislativa generale in materia di emergenze sanitarie vigente nel nostro ordinamento all’inizio dello stato di emergenza coronavirus dichiarato “di rilevo nazionale” con delibera del Consiglio dei Ministri (CdM) il 31 gennaio 2020.

Il Governo nazionale con il decreto-legge n. 19 del 25 marzo scorso ha poi adottato una disciplina legislativa specifica edi carattere ordinamentale per regolare l’adozione dei provvedimenti amministrativi necessari  per contenere e contrastare i rischi “derivanti dalla diffusione del virus COVID-19” su determinate parti del territorio nazionale o, all’occorrenza, sulla totalità dello stesso.

Il ricorso al decreto d’urgenza avente forza di legge, già peraltro utilizzato a partire da 23 febbraio scorso (d.l. n. 6 velocemente convertito in legge n. 13), deriva dall’esigenza di dare una specifica e certa copertura legislativa alla sopravvenuta necessità di disporre misure comportanti anche una restrizione temporanea di alcuni diritti fondamentali di libertà dei cittadini sanciti dalla nostra Costituzione repubblicana in quanto giustificate da altri diritti e interessi costituzionali.

Per la restrizione dei diritti fondamentali è prevista una c.d. riserva di legge assolutae talvolta rinforzata, e cioè un rinvio al legislatore con apposizione anche di speciali limiti:  es. art. 16 Cost. che sancisce la  liberta di circolazione e soggiorno sul territorio nazionale, “salvo le limitazioni che la legge stabilisce in via generale per motivi di sanità o di sicurezza. …). La tutela della salute (art. 32 Cost.) costituisce infatti sia un diritto fondamentale dell’individuo che un interesse costituzionale della collettività (lac.d. salute pubblica).

La nuova disciplina legislativa appare configurarsi come una legge specifica (o derogante) rispetto all’ordinamento generale vigente, in quanto espressamente limitata alla sola emergenza Covid-19.  Infatti la disciplina generale e il riparto delle competenze amministrative è previsto in via generale per le emergenze sanitarie o di igiene pubblica negli articoli n. 32 della legge di riforma sanitaria833 del ’78,  n. 117 del decreto legislativo di riforma amministrativa 112 del ’98 e n. 50, commi 5 e 6, del d.lgs. sull’ordinamento degli enti locali 267 del 2000. Queste norme di legge, che appunto non vengono abrogate dalla nuova normativa, ripartiscono la competenza ad adottare i provvedimenti necessari con riguardo alla dimensione dell’emergenza e cioè all’estensione territoriale dell’evento e quindi,  in caso di emergenza dichiarata di rilievo nazionale, attribuiscono la competenza a provvedere allo Stato.

 Il nuovo d.l. n. 19 all’art. 1 (Misure urgenti per evitare la diffusione del COVID-19), oltre ad elencare ben 29 possibili misure di contenimento della diffusione del virus, si premura di precisare che le stesse possono essere adottate, secondo i principi di adeguatezza e proporzionalità, per periodi predeterminati di durata non superiore a 30 giorni, reiterabili e modificabili anche più volte fino al 31 luglio 2020, quando terminerà lo stato di emergenza dichiarato.

All’art. 2 (Attuazione delle misure di contenimento), pur spostando l’attenzione dall’estensione territoriale dell’emergenza (già dichiarata il 31 gennaio), a quelladegli effetti dei provvedimenti amministrativi da adottare, resta confermato che, per quanto riguarda i provvedimentiche interessino l’intero territorio nazionale, le varie misure di contenimento del virus sono adottate dallo Stato.  Viene peròstabilito che le misure sono adottate con uno o più decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri (dPCM), su propostadel Ministro della salute (anziché direttamente dal Ministro stesso, quale autorità sanitaria nazionale e con l’atto tipico dell’ordinanza, come previsto dalla disciplina legislativa generale). Si aggiunge che i dPCM  possono essere adottati anche su proposta del Presidente della Conferenza delle regioni e delle province autonome, che risulta disciplinata e denominata “Conferenza Stato-regioni” dal d.lgs. n. 281 del ’97, nonché presieduta a turno da un Presidente di Regione e con in carica, dal dicembre 2015, il Presidente dell’Emilia-Romagna S. Bonaccini-PD.

Tale sistema di adozione dei singoli provvedimenti statali “su proposta”, nell’operare un’apertura di spazio e di collaborazione alle Regioni nel relativo procedimento amministrativo, appare configurato in modo non equilibrato in quanto nel primo caso l’adozione avviene necessariamente su proposta del Ministro e nel secondo invece, in presenza di una proposta del Presidente della Conferenza, l’adozione diventa facoltativa, fermo restando che comunque si tratta sempre di semplici proposte, per loro natura non vincolanti. Nell’emergenza nazionale Covid-19, in sostanza, a decidere discrezionalmente sull’applicazione delle misure restrittiveè solo il Capo del Governo, anche senza che le stesse norme gli  attribuiscano espressamente la qualifica di autorità sanitaria nazionale.

Del resto una simile qualifica e tale attività amministrativa appare riduttiva se non impropria per una figura istituzionale che per norma costituzionale (art. 95 Cost.) ha o dovrebbe avere il diverso e ben più alto ruolo, nonché la relativa responsabilità, di direzione della politica generale del Governo, di mantenimento dell’unità di indirizzo politico-amministrativo e di promozione e coordinamento dell’attività dei Ministri. Il nuovo assettodella titolarità delle competenze amministrativestatalinell’emergenza sanitaria Covid-19, negli attuali equilibri politico-istituzionali, sembra anche aver contribuito ad acuire lo scontro tra le forze politiche e in Parlamento magari per finalità diverse, nemmeno  troppo velate.

Per quanto riguarda poi i provvedimenti amministrativi che interessino esclusivamente una Regione o alcune specifiche regioni, gli stessi sono ugualmente adottati dallo Stato, sempre con dPCM e su proposta del Ministro della salute oppure dei Presidenti delle Regioni interessate con gli stessi squilibri prima evidenziati, se non maggiori. In questo caso, infatti, il provvedimento statale che in particolare riguardi una singola Regione (giustificato nella legislazione generale vigente dalla dichiarata dimensione nazionale dello stato di emergenza Covid-19) potrebbe, nella nuova disciplina derogante, sollevare maggiori perplessità e probabilmente la pretesa di un ruolo più incisivo da parte della singola Regione interessata, se non addirittura prestarsi  a possibili conflitti di attribuzione di fronte alla Consulta.

In entrambi le fattispecie sopra descritte è anche previsto che vengano sentiti i vari altri Ministri competenti per materia e, nella prima (intero territorio nazionale) che venga sentito (una sorta di parere obbligatorio ma non vincolante) il solo Presidente della Conferenza delle regioni e province autonome, mentre nella seconda (singola regione o  più regioni) chevengano solo sentiti i Presidenti delle regioni interessate. Non essendo prevista, per l’adozione dei dPCM, alcuna forma di “intesa”, non si tratta quindi di atti plurisoggettivi (o c.d. congiunti, con un temine ora diversamente di attualità), ma di provvedimenti sempre e solo statali. Inoltre, per quanto riguarda i profili tecnico-scientifici e le valutazioni di adeguatezza e proporzionalità, è previsto che, di norma, venga sentito il Comitato tecnico-scientifico (una sorta di parere  non vincolante e nemmeno sempre obbligatorio)e quindi, al di là delle dichiarazioni sui mezzi di comunicazione, anche sotto questo profilo resta ben saldo il potere discrezionale del solo Capo del Governo di adozione delle misure di contenimento del virus e di mitigazione dei rischi con tutto quello che comportano.

La forma di “collaborazione istituzionale” tra Stato, Regioni e Province autonome delineata dal decreto- legge appare impostata più che altro come una forma di semplice partecipazione al procedimento amministrativo di emanazione dei dPCM. Ciò in quanto né la formulazione della proposta di provvedimento né la semplice consultazione (“sentito”) di un soggetto appaiono avere una rilevanza e un’incidenza effettiva nella decisione finale e non appaiono pertanto soddisfacenti per molte Regioni anche al netto delle possibili strumentalizzazioni di parte politica. Del tutto esclusi dalla partecipazione appaiono inoltre gli Enti locali competenti in materia, e in particolare i Comuni i cui Sindaci, peraltro,  rivestono per legge il ruolo di autorità sanitaria locale e per i quali non risulta prevista nemmeno la semplice consultazione. Eppure esiste un’analoga Conferenza Stato-città e autonomie locali anche se impropriamente presieduta dal Presidente del Consiglio dei Ministri o Ministro da lui delegato (citato d. lgs 281/97). L’assetto della stessa andrebbe anche adeguato quanto meno prevedendo una presidenza più appropriata, come ad es. quella a turno dei Sindaci dei Comuni capoluogo di Regione e lasciando invece allo Stato la presidenza della Conferenza unificata di cui alla stessa normativa.

Il tutto avviene anche nel quadro di una accresciuta rilevanza della figura del Presidente del Consiglio, peraltro non nuova in quanto la stessa, a partire dalla teoria del primus inter pares”nell’organo collegiale Consiglio dei Ministri (art. 92, primo comma, Cost.), è andata sempre più rinforzandosi e ponendosi su un piano diverso e superiore rispetto agli altri componenti. Infatti con la legge 400 del 1988 (Governo pentapartito De Mita) e poi anche con il d.lgs. 303 del 1999 (Governo L’Ulivo D’Alema I) sull’ordinamento della Presidenza del Consiglio dei Ministri, è stata attribuita alla Presidenza del Consiglio una posizione di più ampia autonomia costituzionale e organizzativa rispetto ai Ministri e al Consiglio dei Ministri.

Sempre l’art. 2 del d.l. n. 19 consente al Ministro della salute di adottare le misure elencate nel decreto stesso con le ordinanze di necessità in base all’art. 32 della legge di istituzione del S.S.N. ma solo prima dell’adozione dei dPCM, con efficacia fino a tale momento e solo nei casi di estrema urgenza per situazioni sopravvenute. Prevede inoltre che i provvedimenti amministrativi emanati dal Governo siano comunicati alle Camere entro il giorno successivo alla loro pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale e che il Presidente del Consiglio o un Ministro delegato ogni 15 giorni riferisca alle Camere sulle misure adottate.

Sempre nelle more dell’adozione dei dPCM e con efficacia fino a tale momento, l’art. 3 (Misure urgenti di carattere regionale o infraregionale) consente alle Regioni di introdurre solo misure ulteriormente restrittive, tra quelle elencate nel decreto-legge, in caso di specifiche situazioni sopravvenute di aggravamento del rischio sanitario nel loro territorio o parte di esso, esclusivamente nelle attività di loro competenza e senza incidere sulle attività produttive e su quelle di rilevanza strategica nazionale. Lo stesso art. 3 prevede il divieto espresso, per i Sindaci, di adottare ordinanze contingibili e urgenti volte a fronteggiare l’emergenza in contrasto con le misure statali enegli stessi limiti stabiliti per le Regioni.

Spetta ora al Parlamento italiano, in sede di conversione in legge del decreto provvisorio del Governo, di apportare già allo stesso le modifiche, le integrazioni e i miglioramenti  necessari per  regolare in modo ordinato i poteri e le competenze delle diverse Istituzioni pubbliche in attuazione ai principi e agli assetti disegnati dalla Costituzione oggi vigente. Il Parlamento è chiamato a dar piena prova di possedere l’indispensabile e adeguata competenza, capacità d’iniziativa e lungimiranza nell’esercizio del potere legislativo.Il Parlamento dovrebbe sin d’ora iniziare ad impostare e definire una nuova disciplina legislativa generale delle situazioni di emergenza (che in Italia purtroppo non mancano), individuando con legge ordinaria un assetto dei poteri razionale ed efficace tra lo Stato, le Regioni e gli Enti locali, che insieme costituiscono l’attuale  Repubblica italiana (nuovo art. 114 Cost.).

Tutto ciò appunto senza bisogno di  modificare di nuovo la Costituzione e nel quadro del fondamentale nuovo principio di leale collaborazione nel rapportotra le Istituzioni costitutive della Repubblica,creato dalla giurisprudenza costituzionale nell’ultimo decennio del ‘900 ed anche sancito nel nuovo art. 120 Cost. dopo la riforma del 2001. Il principio di leale collaborazione,insieme ai principi di sussidiarietà e di adeguatezza, dovrebbero sempre più ispirare il pluralismo istituzionale cheè un valore fondamentale del nuovo assetto costituzionale della nostra Repubblica democratica,  nella quale cioè la sovranità appartieneal popolo (art. 1 Cost.) e non più al Re, quale unico organo sovrano dello Stato nelle monarchie, e nemmeno al nuovo Capo dello Stato, il Presidente della Repubblica. Nella Repubblica il popolo esercita la sovranità nelle forme e nei limiti della Costituzione eleggendo direttamente i suoi rappresentanti in Parlamento e indirettamente il Presidente della Repubblica, oltre che intervenendo  direttamente nell’attività legislativa (iniziativa legislativa e referendum abrogativo). Nella nostra Repubblica, permeata dal principio del pluralismo, il pluralismo istituzionale andrebbe valorizzato dal legislatore ordinario in Parlamento.

Li 6 maggio 2020

Dott. Alfonso Gentili- ex Segretario generale del Comune di Todi