In emergenza sanitaria nazionale è lo Stato che ha il potere di decidere.

Una importante puntualizzazione giuridica del dott. Alfonso Gentili.
I rappresentanti delle Istituzioni pubbliche dovrebbero perseguire, sempre e solo, l’interesse generale delle comunità governate. ”

L’emergenza sanitaria coronavirus ha suscitato discussioni e polemiche tra lo Stato e alcune Regioni sulla competenza ad adottare i provvedimenti  necessari a prevenirne la diffusione e fronteggiarne gli effetti. Eppure il potere di emettere ordinanze c.d. di necessità in materia di emergenza sanitaria o d’igiene pubblica risulta dettagliatamente disciplinato dall’art. 32 della legge 833 del 1978 di istituzione del Servizio sanitario nazionale (SSN) e dall’art. 117 del decreto legislativo 112 del 1998 sul decentramento di funzioni e compiti amministrativi dello Stato alle regioni e agli enti locali, poi confluito nell’art. 50 del testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali (TUEL) 267 del 2000.

 L’art. 32 della legge 833 del dicembre 1978 (Governo DC, con l’appoggio esterno del PCI, Andreotti IV, Ministro della sanità Anselmi) dispone testualmente: Il Ministro della sanità  può  emettere  ordinanze  di  carattere contingibile e urgente, in materia di igiene e sanità pubblica e  di polizia  veterinaria,  con efficacia  estesa  all’intero  territorio nazionale o a parte di esso comprendente più  regioni.………………..”Nelle medesime materie sono  emesse  dal  presidente  della  giunta regionale o  dal  sindaco  ordinanze  di   carattere  contingibile  ed urgente, con efficacia estesa rispettivamente alla regione o a  parte del suo territorio comprendente più comuni e al territorio comunale.”.Inoltre l’art. 13 della stessa legge riconosce formalmente al Sindaco la qualifica di autorità sanitaria locale (ancora in veste di ufficiale del Governo). La figura del Sindaco disponeva del potere di emettere ordinanze contingibili e urgenti di sicurezza pubblica in materia di igiene pubblica, in veste di ufficiale del Governo (come organo statale e periferico  del Ministero della Sanità) e avvalendosi della figura dell’Ufficiale sanitario, almeno sin dal 1915 in base all’art. 153 del testo unico L.C.P. 148. Prima dell’istituzione delle Regioni e della citata riforma sanitaria del ’78 il ruolo di autorità sanitaria a livello ultracomunale era attribuito, in ogni Provincia, al Prefetto che l’esercitava avvalendosi delle figure  del Medico provinciale e del Veterinario provinciale. Il Sindaco ha continuato ad operare in materia  di sanità e igiene nella veste di ufficiale del Governo anche a seguito della legge 142 del 1990 sul nuovo ordinamento delle autonomie locali (art. 38) e fino alla grande  riforma amministrativa del 1997-1998.

L’art. 50, comma 5, del citato testo unico dell’agosto 2000 (Governo L’Ulivo Amato II) che recepisce integralmente l’art. 117 del d. lgs. 112 del marzo 1998 emanato in attuazione della corposa legge delega 59 del marzo 1997 (Governo L’Ulivo Prodi I, Ministro F.P. Bassanini) dispone testualmente “In particolare,  in  caso  di  emergenze  sanitarie  o  di  igiene pubblica a carattere esclusivamente locale le ordinanze  contingibili e urgenti sono  adottate dal sindaco, quale  rappresentante  della comunità locale.”……..Negli  altri  casi  l’adozione   dei   provvedimenti d’urgenza ivi compresa la costituzione  di  centri  e  organismi  di referenza o assistenza, spetta allo Stato o alle regioni  in  ragione della dimensione dell’emergenza e  dell’eventuale  interessamento  di più ambiti territoriali regionali“……….”In caso di emergenza che interessi il territorio di  più  comuni, ogni  sindaco  adotta  le  misure  necessarie  fino  a   quando   non intervengano i  soggetti competenti ai sensi del precedente comma.”. Pertanto il potere di ordinanza contingibile e urgente in materia di emergenza sanitaria, secondo il combinato disposto delle norme sopra riportate, è attribuito nell’ordinamento della Repubblica italiana a tre distinti organi monocratici che soli rivestono la qualifica di Autorità sanitaria: Il Ministro della salute (già della Sanità) al livello  nazionale o di più Regioni, il Presidente della Giunta regionale a livello di singola Regione o di più Comuni della stessa e il Sindaco a livello di singolo Comune. In proposito occorre notare che tale legislazione statale ha definito non solo e non tanto il limite territoriale dei provvedimenti d’urgenza che possono adottare le tre autorità sanitarie (in quanto già ovvio e senza bisogno che lo prescrivesse la legge) ma ha voluto disciplinare espressamente proprio la competenza all’adozione dei provvedimenti necessari con riguardo alla “dimensione dell’emergenza” e vale a dire all’estensione territoriale dell’evento che è poi il presupposto del potere di ordinanza. Quindi se l’emergenza sanitaria interessa solo un Comune la competenza ad adottare i provvedimenti d’urgenza spetta al suo Sindaco nella nuova veste di rappresentante della comunità locale (e non più di ufficiale del Governo), se invece interessa più comuni di una Regione la competenza passa al Presidente della Regione stessa e se l’emergenza interessa più Regioni la competenza a provvedere si sposta ancora in alto al Ministro della salute.

Quando l’emergenza ha una dimensione maggiore di quella di un singolo comune, i Sindaci interessati per legge possono provvedere in via immediata ma con efficacia temporale limitata fino all’intervento delle  superiori autorità competenti e la stessa cosa, in via analogica, può valere anche per i Presidenti di regione quando la dimensione dell’emergenza è maggiore di quella di una singola regione. Il Governo italiano, con delibera del CdM in data 31 gennaio scorso, ha dichiarato lo stato di emergenza di rilievo nazionale in conseguenza del rischio sanitario connesso alla patologia da coronavirus per la durata di 6 mesi (per legge non può superare 12 mesi ed è prorogabile per non più di ulteriori 12 mesi). L’assetto attuale delle competenze e dei poteri di intervento, come sopradefinito dalla legislazione vigente, appare oltre che congruo anche conforme ai principi di sussidiarietà (verticale), differenziazione ed adeguatezza sanciti dal nuovo art. 118 Cost., (dopo la legge di revisione costituzionale del 2001). Infatti, al fine di assicurare“l’esercizio unitario” delle funzioni amministrative (primo comma), la legge prevede l’attrazione in sussidiarietà allo Stato delle funzioni stesse nei casi di emergenza nazionale e ciò a prescindere dalla competenza legislativa concorrente tra Stato e Regioni in materia di “tutela della salute” di cui al terzo comma del nuovo art. 117 Cost., in base alla quale, nelle materia in questione e in altre, le Regioni esercitano la potestà legislativa nell’ambito dei principi fondamentali espressamente determinati dallo Stato (con le c.d. “leggi cornice”) o, in mancanza, quali desumibili dalle leggi statali vigenti (art. 1 legge 131del 2003).

E’ quindi il Ministro della salute che, in veste di autorità sanitaria nazionale e in caso di emergenza di rilievo nazionale, ha il potere di provvedere in materia di salute pubblica mediante l’atto amministrativo tipico e appropriato dell’ordinanza di necessità, anche se, nell’attuale emergenza Covid-19, tale figura appare essere stata in qualche modo scavalcata con un accentramento di funzioni in capo al Presidente del CdM che provvede con semplice decreto (dpcm) ad adottare le misure necessarie in forza del d.l. 6 del febbraio 2020 convertito in legge 13/20 e molti altri successivi. La novità può anche suscitare qualche perplessità sia sul piano giuridico che su quello politico-istituzionale in quanto nell’ordinamento della Repubblica italiana non risulta ancora essere stato introdotto (nonostante due tentativi, ma entrambi falliti) il c.d. “premierato” e cioè la figura del “Primo Ministro” eletto o indicato direttamente dagli elettori ed avente un ruolo particolarmente rinforzato. E’ anche bene ricordare che sono le ordinanze i provvedimenti amministrativi con cui le Pubbliche Amministrazioni fanno sorgere un dovere di condotta positivo (comando) oppure negativo (divieto), la cui inosservanza espone il soggetto o i soggetti obbligati ad una sanzione. Appartengono alla categoria degli ordini  e derivano dalla potestà di supremazia della  stessa P.A. . Nelle ordinanze ordinarie (o c.d. normali) l’imposizione di specifici comportamenti trova fondamento nelleleggi e nei regolamenti statali o regionali o nei regolamenti locali, mentre le ordinanze contingibili (e cioè a fronte ad un fatto accidentale o non prevedibile e come atto di carattere temporaneo) e urgenti (o c.d. di necessità) sono espressione di un potere c.d. “extra ordinem” e hanno un contenuto non prestabilito dalle norme attributive del potere di ordinanza ma determinato dal titolare del potere medesimo. Pertanto, in situazione di emergenza sanitaria, rientrano nella competenza di una delle tre figure di autorità sanitaria in precedenza indicate in relazione appunto alla dimensione territoriale dell’emergenza. Essendo inoltre tale potere di ordinanza di necessità già previsto nelle citate norme di legge “in via generale” per motivi di sanità, se non andiamo errati, l’ordinanza può motivatamente imporre anche limitazioni ad alcuni diritti fondamentali (es. art. 16 Cost. in tema di libertà di circolazione e soggiorno) senza bisogno ogni volta di un’ulteriore specifica norma di legge, altrimenti non si vede come potrebbe intervenire un Sindaco in situazione di emergenza simile ma di rilievo solo comunale ed anche un Presidente di regione in caso di emergenza simile ma di rilievo solo regionale, non disponendo la Giunta regionale (come invece il Governo nazionale) dello strumento del decreto-legge nei casi di urgente necessità (art. 77 Cost.). Per quanto finora evidenziato  appaiono assolutamente infondate, se non addirittura pretestuose, le fin troppe polemiche circa le competenze dello Stato o delle Regioni nello stato di emergenza sanitaria per la pandemia coronavirus, che tra l’altro attiene anche alla materia della profilassi (cioè prevenzione della diffusione di malattie, in particolare infettive) internazionale tanto è vero che l’Organizzazione  mondiale della sanità (OMS) il 30 gennaio 2020 aveva proclamato la  dichiarazione  di  emergenza  internazionale  di  salute pubblica (Pheic) per  il  coronavirus e già questo fatto comportava anche  la competenza legislativa esclusiva dello Stato, in forza del nuovo art. 117, secondo comma, lett. q) Cost.

Le ripetute critiche da più parti sollevate nei confronti della riforma c.d. “federalista” del titolo V Cost. Parte II, approvata nel marzo 2001 dall’allora maggioranza parlamentare di centro-sinistra (l’Ulivo) e l’unica riforma costituzionale che ad oggi è riuscita a superare (e con quasi il 65 per cento dei Si) anche il vaglio del corpo elettorale sovrano nel referendum popolare confermativo del 7 ottobre 2001, sembrano non tener conto o ignorare l’illustrato quadro normativo complessivo che disciplina la materia e che opportunamente distingue tra le situazioni di normalità e quelle di emergenza sanitaria. Del resto l’invocato accentramento in capo allo Stato di tutte le funzioni legislative e amministrative in materia di salute e magari anche in altre materie, non sembra idoneo in prospettiva a garantire l’efficace e l’efficiente funzionamento del complesso dei servizi sanitari, se solo si valutano e si comparano le condizioni in cui risultano versare altri servizi pubblici importanti rimasti di competenza statale (es. servizi giudiziari e connessi).

La Repubblica democratica, una e indivisibile, delle autonomie locali e lo Stato regionale (artt. 1, 5 e titolo V parte II Cost.)  sono state scelte meditate e lungimiranti effettuate dall’Assemblea costituente nel lontano 1947, dopo un ventennio di dittatura fascista scaturita proprio da uno Stato fortemente accentrato come il Regno d’Italia. Tale assetto istituzionale merita di essere preservato e custodito soprattutto nell’epoca attuale, a fronte di evidenti e pericolosi nuovi orientamenti politici accentratori e nazionalisti, di forte personalizzazione della politica con conseguente esaltazione del “capo” e, in sostanza, di risveglio di ideologie tendenzialmente autoritarie. Le continue polemiche politiche, o più precisamente partitiche, appaiono per lo più motivate dalla mera ricerca di consenso politico ed elettorale, legittimo da parte delle forze politiche e dei loro dirigenti in tale veste, ma non certo da parte dei rappresentanti delle Istituzioni pubbliche che dovrebbero perseguire, sempre e solo, l’interesse generale delle comunità governate.

 Li 21 aprile 2020

Dott. Alfonso Gentili- ex Segretario generale del Comune di Todi.