La sovranità e l’Unione europea. Il nazionalismo, il populismo e il sovranismo.

Un prezioso contributo per la conoscenza di termini

oggi tornati di attualità       

Nel diritto pubblico il concetto giuridico di “sovranità”, con riferimento allo Stato, è caratterizzato da due aspetti, uno interno consistente nel supremo potere di comando in un determinato territorio e uno esterno consistente nell’indipendenza dello Stato rispetto agli altri Stati. Teorico di tale processo è stato il filosofo britannico Thomas Hobbes nella sua celebre opera “Il Leviatano” con il passaggio da un iniziale “stato di natura” fatto di individui isolati pronti a distruggersi reciprocamente (“Bellum omnium contra omnes” e” Homo homini lupus”) ad un insieme di atti contrattuali con cui i singoli individui trasferiscono la loro forza ad una “persona comune” che è lo Stato. La storia politica europea ha poi posto la questione di chi, nello Stato, fosse il titolare ultimo della sovranità dando luogo a tre teorie.

La teoria della sovranità della Nazione è stata una delle innovazioni più importanti della rivoluzione francese del 1789. La Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino di quell’anno, all’art. 3, affermava che la sovranità appartiene alla Nazione da cui emanano tutti i poteri. L’ordine politico precedente ( il c.d.  Ancien Regime) era quello dello Stato assoluto fondato sull’identificazione tra lo Stato e la persona del Re (“L’Etat, c’est moi” di  Luigi XIV). Con la rivoluzione francese cessò questa identificazione e, al posto del Re, venne collocata l’entità “Nazione”. La sovranità nazionale  metteva fine all’assolutismo regio  e al vecchio ordine sociale basato sulla divisione in ordini e ceti  facendovi subentrare i singoli cittadini uguali e unificati politicamente nell’entità Nazione come collettività omogenea.

La teoria della sovranità dello Stato come persona giuridica (tra seconda metà ‘800 e primi ‘900) ha affermato  che sovrano non era più una persona fisica, il Re, a cui i sudditi appartenevano ma un ente astratto, distinto da chi lo governa e di cui si fa parte in quanto accomunati da valori, ideali, legami di sangue e tradizioni comuni (la Nazione). Secondo lo Statuto Albertino sovrano non era né il re né il popolo quanto piuttosto lo Stato personificato. Negli ultimi decenni del XIX secolo e primi del ‘900, con la fine dell’epoca degli Stati plurinazionali e multietnici (Impero Austro-Ungarico e Ottomano), in Europa si è imposto lo Stato-Nazione come Stato unitario e uninazionale, soggetto esclusivo della politica interna ed estera.  Ben presto però il sentimento di nazionalità, come senso di appartenenza ad una nazione, è degenerato nel  nazionalismo come dottrina e insieme di movimenti basati sull’esaltazione dell’identità nazionale e della politica di potenza, anche con il sostegno di intellettuali e letterati, tra cui Gabriele D’Annunzio.  Nella prima metà del ‘900 il nazionalismo ha assunto caratteristiche sempre più estreme, aggressive e razziste fino a divenire una componente essenziale della ideologia fascista in Italia e di quella nazista in Germania.

La teoria della sovranità popolare è stata formulata dal filosofo svizzero Jean-Jacques Rousseau  nell’opera “Il contratto sociale”(1762) che delineò con grande anticipo l’idea di Stato democratico facendo coincidere la sovranità con la “volontà generale”, identificata con la volontà dell’insieme dei cittadini come popolo sovrano. Il principio della sovranità popolare sfociava in una visione iperdemocraticistica dell’organizzazione politica secondo cui il popolo avrebbe dovuto esercitare direttamente la sua sovranità senza ricorrere alla delega a suoi rappresentanti (democrazia rappresentativa). Di qui e non solo è derivato il populismo con la critica delle élite, l’esaltazione demagogica del popolo e la relazione diretta tra le masse popolari e il politico o il capo carismatico (cfr. “il peronismo”). Tale volontà generale era intesa  come somma delle volontà particolari dei singoli membri di un’assemblea miscelate nella discussione per arrivare ad una volontà superiore finalizzata al bene comune (di ciascuno e di tutti). Chi non era d’accordo rappresentava una minaccia per la comunità e  doveva essere corretto e riportato in seno all’assemblea.

In tutte queste teorie c’era comunque il dato comune del rifiuto di qualsiasi legge fondamentale capace di vincolare il sovrano. Il costituzionalismo del ‘900 ed in particolare del secondo dopoguerra ha visto l’affermarsi di orientamenti che hanno messo in crisi le tradizionali teorie della sovranità.

C’è stata, da una parte, una generalizzata affermazione del principio della sovranità popolare che è stato consacrato  da quasi tutte le Costituzioni moderne. Dall’altra parte la sovranità del popolo ha perso l’originario carattere di assolutezza e si è modificata nel senso che la stessa non si esercita direttamente ma viene inserita in un sistema  rappresentativo sulla base del consenso popolare, che viene espresso attraverso le elezioni  ed è la condizione principale di legittimazione dello Stato. Si sono diffuse Costituzioni rigide che hanno un’efficacia  di rango superiore alla legge e sono modificabili solo attraverso procedure complesse. La preminenza della Costituzione viene garantita dall’opera della Corte costituzionale con la conseguenza che i titolari della sovranità interna, nell’esercizio dei loro poteri, incontrano limiti ben precisi. Tale assetto risponde al problema dell’affermarsi del pluralismo politico e sociale e all’esigenza di garantire il mantenimento di condizioni di parità nella competizione politica. Il sistema dei limiti e principi previsti dalle Costituzioni si sostanzia nelle garanzie delle minoranze e nei diritti fondamentali che devono pertanto prevalere sulla volontà di chi detiene pro tempore il potere politico.

Un’altra tendenza che ha concorso a limitare la sovranità nazionale è costituita dall’affermazione delle Organizzazioni internazionali. Tradizionalmente la sovranità esterna riconosceva solo limiti nascenti da accordi tra gli Stati, i Trattati del diritto internazionale. Questa concezione della sovranità ha trovato il suo culmine e nello stesso tempo il suo fallimento nella prima metà del ‘900 con le due guerre mondiali.

Si è sviluppato allora un processo di limitazione giuridica della sovranità esterna degli Stati al fine di garantire la pace e tutelare i diritti umani. Il percorso ha avuto inizio con il trattato istitutivo dell’Organizzazione delle Nazioni Unite (ONU) sottoscritto a San Francisco nel giugno 1945 e con la Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo approvata nel dicembre 1948 dall’ Assemblea  delle Nazioni Unite.

La limitazione o meglio un diverso modo di esercizio delle sovranità statali ha avuto luogo in Europa con la creazione di Organizzazioni sovranazionali e con il processo di integrazione europea e cioè con l’istituzione della Comunità europea del carbone e dell’acciaio (CECA) con il trattato di Parigi del 18 aprile 1951 e della Comunità economica europea (CEE) per l’integrazione del settore economico  dei sei Paesi inizialmente aderenti (Belgio, Francia, Germania Ovest, Italia, Lussemburgo e Paesi Bassi) e la creazione di un Mercato europeo comune (MEC) poi Mercato unico dell’UE e della Comunità  europea per l’energia atomica (CEEA o EURATOM) con i trattati  fondativi di Roma del 25 marzo 1957, in vigore dal 1° gennaio 1958. Le tre Comunità sono state poi riunite nella Comunità europea (CE) a partire dal trattato di Maastricht o trattato sull’Unione europea (TUE) del  7 febbraio 1992,  che ha sancito, oltre la cittadinanza dell’Unione europea che completa e non sostituisce quella statale, l’Unione economica e monetaria (UEM) cui ha fatto seguito anche il Patto di stabilità e crescita (PSC) del 1997 inerente il controllo delle politiche di bilancio pubbliche, i parametri di convergenza  e l’implementazione delle procedure di deficit eccessivo (PDE) o per squilibri macroeconomici (PSM) considerata la mole del debito pubblico ed è stato trasfuso nel trattato di Lisbona. L’Italia è incorsa in una procedura d’infrazione nel 2005 (Governo Berlusconi II), chiusa senza sanzioni nel 2008 per l’avvenuto rientro del deficit entro i parametri e per la tendenziale diminuzione del debito pubblico e in un’altra nel 2009 (Governo Berlusconi IV) chiusa nel maggio 2013 (Governo Letta-inizio) a seguito delle manovre, riforme e tagli operati  dal governo tecnico di Monti  e degli sforzi fatti dal Paese.

IL MEC e l’UEM, oltre la politica del carbone e dell’acciaio, quella atomica e altre competenze delle Comunità europee costituivano  il c.d. “primo pilastro” dell’Unione europea (UE) cosi denominata appunto con il trattato di Maastricht  e istituita nell’anno 2002 con l’entrata in circolazione della moneta unica ufficiale, l’euro, adottata in sostituzione delle valute nazionali da 19 (c.d. Eurozona con una politica monetaria unica regolata dalla Banca centrale europea-BCE) degli attuali 28 Stati membri, con deroga ufficiale per Regno Unito e Danimarca che, tra l’altro, avevano aderito alla Comunità europea solo dal 1° gennaio 1973 e con gli inglesi futuri extracomunitari. La nascita ufficiale dell’UE  si considera avvenuta con il successivo trattato di Lisbona o Trattato di riforma del 13 dicembre 2007, in vigore dal 1° dicembre 2009, che ha riformato il precedente Trattato sull’Unione europea (TUE) e quello che aveva istituito la Comunità europea ridenominandolo  Trattato sul funzionamento dell’Unione europea (TFUE), ha confermato per l’UE la forma di unione pattizia di Stati sovrani, ha stabilito il riparto di competenze tra l’Unione e gli Stati membri ed ha rafforzato il principio democratico e la tutela dei diritti fondamentali, che devono essere rispettati dall’Unione nell’applicazione del diritto comunitario. Infatti il trattato di Lisbona ha riconosciuto alla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (CDFUE) o Carta di Nizza, proclamata nel dicembre 2000 e con adattamenti a Strasburgo nel dicembre 2007, il medesimo valore giuridico dei trattati, dopo la mancata ratifica da parte di due Paesi del trattato del 2003 che adottava la Costituzione europea, i cui principali contenuti innovativi sono stati comunque introdotti nel trattato di Lisbona.

Gli Stati membri hanno così messo in comune alcuni poteri e politiche  nell’Unione europea, che è una via di mezzo tra una Confederazione di Stati (somma di Stati che restano sovrani e con diritto di veto) e uno Stato federale (con creazione di un nuovo Stato centrale sovrano e Stati federati che conservano una forte autonomia ma non la sovranità). Hanno attribuito  all’Unione la competenza, in determinati ambiti, a produrre norme giuridiche efficaci e vincolanti per gli Stati, che prevalgono con diverse modalità sul loro diritto interno e in qualche caso sono direttamente efficaci anche per i cittadini. I limiti di sovranità del nostro Stato trovano peraltro fondamento nell’art. 11 della Costituzione laddove  prevede che l’Italia “consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, le limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia tra le Nazioni; promuove e favorisce le organizzazioni internazionali  rivolte a tale scopo” (Le Comunità europee, come risulta dai preamboli dei trattati istitutivi,  sono nate proprio per tali finalità), nonché nellart. 97, comma zero, come introdotto dalla legge costituzionale n. 1 del 2012, laddove prevede che “Le pubbliche amministrazioni, in coerenza con l’ordinamento dell’Unione europea, assicurano l’equilibrio dei bilanci e la sostenibilità del debito pubblico“.

In contrapposizione ai vincoli  comunitari si pone la dottrina politica del sovranismo che, sul piano esterno, si oppone al trasferimento di poteri e competenze dallo Stato ad organizzazioni sovranazionali ed anzi, in nome della priorità degli interessi del proprio Paese e del popolo che fa facile presa nelle piazze e nelle masse, sostiene il recupero di una piena sovranità nazionale che si traduce in posizioni isolazioniste e protezionistiche e nel tentativo di indirizzare la protesta sociale verso il rifiuto dei processi di integrazione europea e della futura Unione politica a livello di continente europeo, invece necessaria in un’ottica globale. Sul piano interno i partiti sovranisti e populisti, come quelli attualmente al governo in Italia, tendono inoltre ad identificare il sovrano nel popolo da loro rappresentato, cioè nei loro elettori e nella maggioranza elettorale libera di fare quello che e come vuole. Al contrario l’art. 1 della Carta  costituzionale nel sancire “La sovranità appartiene al popolo che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione” non identifica il popolo tout court con la  maggioranza  parlamentare di turno e sottolinea i limiti che incontra l’esercizio della sovranità. Il sovranismo è cosa diversa dalla sovranità e dal suo esercizio. Si tratta piuttosto di una rivendicazione di sovranità, di un sovranismo nazionalista e populista che  non sembra tener conto del fatto  che, dopo  le tragedie e i disastri delle due guerre causate dai nazionalismi dei primi del ‘900 e da quelli estremi, aggressivi e razzisti del fascismo e del nazismo, nell’ Europa unita la pace ha prevalso sulle guerre  né del fatto che una parte di sovranità (come la politica economica e monetaria), più che trasferita, è stata condivisa nell’Unione da parte degli Stati europei, che rimangono Stati sovrani e insieme si danno delle regole che i Governi di turno dei singoli Paesi sono tenuti a rispettare o che, se superate, vanno prima cambiate e non infrante per di più in splendido isolamento.

Dr. Alfonso Gentili – ex Segretario generale della Provincia di Perugia.